Galleria XXS apertoalcontemporaneo
Via XX Settembre 13 - Palermo

 
 
 
L’ARMONIOSA PANORAMICA
Alla galleria XXS di Palermo la Piccola antologica del fotografo Alessandro Di Giugno
 
Immagini apparentemente slegate, magari pure contraddittorie, e tuttavia tenacemente connesse fra di loro da un filo logico e linguistico che ne fa tessere d’un articolato mosaico coerentemente composto in un unico insieme stilistico e narrativo.
Un giovane surrealmente mascherato da elefante; degli alberi solitari plasticamente evidenziati da un sapiente gioco chiaroscurale; i componenti di una congrega che esibiscono con inusitata fierezza i simboli della loro appartenenza; tutti scatti a prima vista scollegati – se osservati con superficiale approccio ed incongrua chiave di lettura –, tappe di un percorso artistico che parrebbe all’insegna della casualità e della estemporaneità; e ciò non di meno – a ben vedere – null’altro che capitoli d’una unica e coerente narrazione, ove la peculiare ricerca d’una percepibile omogeneità estetica fa da legante e filo conduttore all’acuta disamina di quanto alberga nella dimensione esistenziale, sociale ed ambientale della contemporaneità.
E’ vero che nello “statuto” del fotografare vi è l’incontro casuale col soggetto imperdibile, l’incrocio improvviso col luogo e con l’attimo ideali, l’intuizione immediata del potenziale narrativo insito in un volto, un corpo od un contesto; ma è altrettanto vero che la fotografia è anche “progettazione”, capacità di “costruire” una inquadratura partendo da una “visione preesistente”, ricerca ostinata dell’appropriato “qui ed ora”; e tutto ciò sin dagli albori di questa disciplina artistica – quando la palese filiazione delle foto dai modelli della pittura portava ad una decisa pianificazione d’ogni scatto – e in fondo non meno al giorno d’oggi, in un tempo in cui la manipolazione digitale delle immagini è ormai una prassi consueta e sistematica.
L’operare di Alessandro – che non a caso è fotografo colto e intelligente – annovera entrambe le suddette impostazioni: cercare i soggetti più appropriati senza escludere l’ausilio di una alea imperscrutabile e al contempo inserirli in una trama visuale ampiamente cogitata a priori. L’individuazione – apparentemente fortuita – di spunti tematici dai connotati surreali si accompagna così alla meticolosa attenzione per gli assetti compositivi, al frequente ricorso a raffinati effetti di chiaroscuro, alla scelta di accostamenti cromatici equilibrati ed eleganti, alla predilezione per una struttura fabulatoria dai toni ineffabili e paradossali, testimoniando d’un modus operandi in grado di integrare l’improvvisa e inattesa ispirazione con un impianto visivo assai pausato e meditato che mai possa prescindere dalla voluta “costruzione” d’ognuna delle foto. Il tipico incedere da fotoreporter (in termini di mero assorbimento di quanto cade più o meno accidentalmente sotto l’obiettivo) si coniuga pertanto con l’ostinata ricerca dell’inquadratura ideale, operata attraverso un certosino processo di edificazione nel quale convogliare un immaginario affinato alla luce d’una profonda cultura visuale.
Questa abituale e consolidata impostazione spiega il perché l’andamento diacronico del fotografare di Alessandro – la cui ricostruzione è alla base di questa “piccola” mostra di carattere antologico – non presenti mai stacchi evidenti o brusche soluzioni di continuità, ma tenda piuttosto ad amalgamarsi in una sorta di “armoniosa panoramica”, ove le immagini paiono comporsi chiaramente in un insieme del tutto sincronico e coerente.
Ne consegue che uno scatto di quindici anni fa possa essere accostato in tranquillità ad uno più recente, e questo senza che si apprezzi alcuna visibile cesura o incoerenza estetico-linguistica; piuttosto quella cui si assiste è una riuscita “polifonia visuale”, nella quale si avverte come un senso straniante di assoluta atemporalità; un raccontare (e in fondo un raccontarsi) nel quale non si nota un classico procedere per tappe sequenziali – ove ognuna è obbligata premessa (crono)logica della successiva – ma in cui ciascuna immagine è parte integrante d’un compiuto “ensemble”, sottraendosi del tutto ad ogni stringente distinzione fra ante e post.
La “simultaneità visuale” – dunque – è ciò che rende peculiare il lavoro fotografico di Di Giugno; nessuna parvente incongruenza o brusco salto – pertanto – fra la foto di un incombente peschereccio e quella di un totemico cactus, né – tanto meno – fra l’inquadratura di un gruppo di medici atteggiati come i componenti di una corporazione olandese del ‘600 ed i surreali ritratti di giovani dotati di ali di cartone immortalati nell’illusoria attesa d’un libertario volo verso qualche altrove; la cifra stilistica – infatti – è sempre chiara e inoppugnabile, e non soltanto – come detto – dal punto di vista tecnico e formale, quanto piuttosto nei connotati tendenzialmente metafisici dell’impianto narrativo.
E’ il pervasivo potere di fabulazione – in definitiva – il carattere comune a tutte queste foto; la loro analoga capacità di irretire l’osservatore, immettendolo in un mondo “altro”; il loro eguale “magnetismo” che prescinde dai  particolari di quanto messo a fuoco; il loro esser frutto del meraviglioso artificio che è da sempre alla base delle arti visuali: e cioè di quell’attitudine – che appartiene solo ai veri artisti – a tributare valore estetico e simbolico a qualsiasi oggetto o soggetto, sottraendolo in tal modo alla transitoria dimensione della normalità e della banalità per elevarlo – mediante un’aura suadente ed ineffabile – all’imperituro rango di opera d’arte. 
La mostra sarà visibile alla galleria XXS (di via XXS Settembre 13, Palermo), fino al 22 ottobre 2021, dal martedì al sabato, dalle 17 alle 19,30e.
 
 
                                                                                       
 
   Salvo Ferlito - ottobre 2021  
 
 
 
 
Giuseppe Cuccio
 
“VARIAZIONI SUL TEMA”, LA GRAFICA “ARBOREA” DELLO SCULTORE GIUSEPPE CUCCIO
 
 
La forma e lo spazio: è attorno a questa obbligata relazione che ruota l’intero ricercare artistico di Giuseppe Cuccio.
Sia chiaro che non si tratta d’un incedere all’insegna del rigido (ed anche arido) rigore formalistico; poiché il comporre e disporre la materia, secondo ben precisi andamenti volumetrici, non implica necessariamente il mero perseguimento di astratte purità di carattere geometrico o di tipo funzionale.
Beppe Cuccio non è infatti un designer – con tutto il rispetto per la categoria – che cerca un ottimale equilibrio fra morfologia, estetica e utilizzo; egli è invece uno scultore che persegue l’obiettivo di dar corpo ed evidenza plastica alle idee, facendo delle forme non dei semplici fini cui pervenire visivamente ma degli appropriati mezzi coi quali veicolare congruamente la propria “visione” del mondo con tutte le corrispettive sfumature di carattere emozionale ed affettivo.
E ciò non solo – come prevedibile – col diretto “corpo a corpo” con la materia bruta (argilla, gesso, pietra varia) al fine di conferire o liberare – michelangiolescamente – la “morfhé” ad essa intrinseca, ma anche – e soprattutto – con la premessa “cogitativa e progettuale” dello strumento grafico, ovvero di quel procedere ideativo della grafite sulla carta che consente di intuire “a priori” – svelandolo – quanto si asconde nei materiali grezzi.
Non sorprenda dunque questa selezione di opere grafiche del nostro Beppe, poiché essa rappresenta l’espressione palese di quel corretto modo di “riflettere” sulle cose (e sul loro stato) che è – ed è sempre stata – la prassi ineludibile nell’agire d’ogni artista visuale realmente dotato di vis immaginifica.
Sono gli alberi – nello specifico – i soggetti eletti ad ideale medium visivo col quale condurre attentamente un’appropriata “speculazione” linguistica ed estetica; gli alberi, con la loro elegante silhouette, in una ricerca coerente e rigorosa di moduli “formali” preposti non tanto a descrivere il dato di natura in maniera dettagliata, quanto a raccontare l’intima relazione fra l’autore e il mondo naturale.
Nessuna acribia veristica o approccio fotografico, pertanto, nella grafica di Cuccio, viceversa un lessico assai sintetico – seppur figurativo – improntato allo sfrondamento d’ogni orpello estetizzante ed all’enucleazione – da vero scultore – dell’essenza “panica” che anima i soggetti. Il gioco di chiari e scuri – particolarmente evidente nelle opere a solo carboncino – ma anche l’articolarsi delle cromie sull’intonso candore della carta – ora minimale ed euritmico, ora più caleidoscopicamente polifonico – si rivelano di fatto estremamente funzionali all’estrapolazione di quel senso di ineffabile mistero che permea nel profondo la natura, coinvolgendo così l’osservatore in brevi ed incisive narrazioni in grado di irretire e inquietare con marcata intensità.
“Variazioni sul tema” quasi aforistiche – queste carte di tema arboreo – ma dall’eloquio fortemente penetrante; immagini ricche di significato nel loro compiuto equilibrio di forma e contenuto.
Le opere di Giuseppe Cuccio potranno essere viste alla Galleria XXS aperto al contemporaneo di Palermo (via XX Settembre 13), dalle 17 alle 20, solo su prenotazione telefonando ai numeri 3939356196 – 3475511895.
 
 

Salvo Ferlito - novembre 2020  

 
 
 
Enzo Romeo
LE VISIONARIE FANTASMAGORIE DI ENZO ROMEO
 
 
A sette anni di distanza dall’ultima mostra personale palermitana (allestita nel 2013 proprio alla galleria XXS apertoalcontemporaneo), una nuova esposizione di dipinti di Enzo Romeo sarà visibile fino al 12 marzo negli stessi spazi di via XX Settembre 13.
Una serie di opere di recente realizzazione, che confermano la statura artistica di uno dei pittori più rappresentativi non solo della scena trapanese ma dell’intero panorama visuale siciliano.
Attivo sin dai primi anni ’60, protagonista di decine di mostre personali sia in Sicilia che nel resto del paese (Roma, Firenze, Milano, Imperia) nonché partecipe ad innumerevoli e qualitative mostre collettive, Enzo Romeo prosegue ormai da anni nel suo inesausto percorso di ricerca e sperimentazione con una encomiabile coerenza stilistica che però non incorre mai nel vizio della ripetitività e che piuttosto appare sostenuta da una inesauribile ed intonsa verve ideativa.
Il ricorrere nelle sue tele di campiture articolate su una misurata gamma cromatica (ove predominano le oscillazioni tonali fra il bianco e il grigio ed i contenuti  lacerti di nero e blu-violetto), l’improvviso e nevrile inserto di schegge ipercromiche (rosse e gialle soprattutto), il tratteggio sintetico e guizzante (ma sempre risoluto nella sua compiuta allusività figurativa) testimoniano infatti d’una poetica sentitamente visionaria, capace di trasfigurare il mero dato di natura in un intenso precipitato visivo, sedimentato per sublimazione delle immagini attraverso il filtro capillare d’una matura e rilevante soggettività.
Lontano da suggestioni superficialmente “mediterranee”, del tutto estraneo ad obblighi di “verismo manierato”, decisamente orientato – piuttosto – verso moduli di ricerca linguistica che prevedono il sapiente embricarsi di astratto e figurato, Enzo Romeo va quindi annoverato fra quegli artisti insulari che hanno saputo adeguarsi alle pressanti istanze della contemporaneità, procedendo coraggiosamente nel senso del superamento delle gore e delle convenzioni della tradizione autoctona, senza che ciò abbia però mai implicato il rinnegamento della piena e classica centralità della pittura. Pittura intesa non come sterile esercizio virtuosistico o come semplice mezzo col quale acquistare uno spazio di mercato, ma come acuto strumento d’espressione grazie al quale disvelare quell’intimo universo affettivo, coltivato nella pausata interrelazione col contesto naturale (e sociale) circostante.
La mostra potrà essere vista alla galleria XXS apertoalcontemporaneo di Palermo (via XX Settembre 13) dal martedì al sabato, dalle 17 alle 19,30.
 
Salvo Ferlito - Febbraio 2020
 
 
Roberto Fontana
 
ESERCIZI DI NORMALITA'
Nei dipinti di Roberto Fontana la cruda analisi per immagini 
della perturbata condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo
 
 
 
Corporeità svilite e dolenti, a esemplare la condizione “border-line” cui è relegato chi non riesce ad adeguarsi ai canoni d’una coatta normalità.
Sono questi i soggetti prediletti da Roberto Fontana, raffigurati – con notevole coerenza tematica e stilistica – anche in quest’ultima sequenza di dipinti, esposta alla galleria XXS aperto al contemporaneo a partire dal 24 ottobre.
Individualità profondamente mortificate e destabilizzate dalla “pressione” esercitata dal contesto circostante; equilibri psiche-soma fortemente perturbati, che il pittore palermitano ha saputo analizzare e tradurre visualmente con quel tipico approccio impietoso – senza filtri o remore di sorta – che ne contraddistingue da sempre l’inconfondibile cifra artistica ed estetica.
Forte di un linguaggio impregnato di venature espressioniste (in cui si mescolano le suggestioni “nordiche” mutuate da Nolde, Kirchner e Munch insieme agli spunti offerti dal beneamato Bacon ed ai diretti insegnamenti del dionisiaco azionista Hemann Nitsch) ma anche di proficue indicazioni provenienti dalla più attuale street art, Fontana ha dunque impaginato un impressionante “casellario” di singole tipologie di disagio e di squilibrio psico-corporale, non limitandosi ad una semplice elencazione di natura puramente “tassonomica”, ma procedendo nel senso dell’acuto approfondimento d’ogni caso esaminato, ai fini della piena comprensione delle cinetiche destabilizzanti di cui è preda l’intero corpo sociale per effetto della “normalizzatrice” volontà di controllo esercitata dalla classe dirigente.
L’inevitabile alienazione dal contesto e l’irreversibile scivolamento verso la disidentità costituiscono pertanto – nella cruda riflessione per immagini  condotta da Fontana – il logico e consequenziale punto di arrivo per chi non voglia o non sappia assoggettarsi agli intenti ed ai dettami di tutti quei  registi – più o meno occulti – che tendono ad orientare e condizionare i comportamenti dei singoli e dei gruppi. A fronte d’una così insistita pressione omologante esercitata dal contesto, in assenza di volontà o capacità di assimilarsi, lo scivolamento verso una dimensione separata di solipsismo – in cui il contrasto ormai insanabile fra immagine esteriore e personalità si risolve in termini di acuta sofferenza corporale – si pone al contempo come fuga da un giogo insostenibile e anche come esibita reazione nei confronti d’una inaccettabile realtà. E’ proprio questa condizione ibrida, di vittima sacrificale (ostracizzata fino alla marginalità e alla morte) e di oppositore consapevole (che fa della rinuncia all’omologazione una critica al sistema), ad essere rappresentata senza infingimenti e con veemente congruenza, spingendo gli osservatori a “prender posizione” attraverso una lettura intensamente simpatetica. Una identificazione emozionale ed affettiva con questi esemplari di umanità dolente – quella indotta da Roberto Fontana con la sua pittura – che non punta a suscitare un semplice coinvolgimento interiore dalle finalità catartiche, ma che mira all’induzione di una più ampia riflessione di carattere socio-politico, con l’auspicio della piena presa di coscienza delle perverse e distorte logiche di cui è preda l’intera società.
La mostra potrà essere vista fino al 7 novembre 2015, dal martedì al sabato, dalle 17 alle 20. 
 
Salvo Ferlito -Novembre 2015
 

NOCTURNA INSULA

Vedute e paesaggi notturni siciliani

Mostra collettiva di grafica, pittura e scultura


 
 
Quindici dissertazioni sui temi del paesaggio e della veduta insulari. Quindici riflessioni di ambientazione notturna, condotte nel ristretto perimetro del piccolo formato.
Nocturna insula è una collettiva di grafica, pittura e scultura finalizzata all’analisi e allo scandaglio di quel senso di panico mistero e di quelle sospese atmosfere che paiono avvolgere il mondo naturale e i contesti urbani della Sicilia al calar dell’oscurità della notte.
Abituati alle epifanie cromatiche e ai barbagli luminosi di tanta produzione paesaggistica e vedutistica isolana, assai di rado ci è data l’occasione di confrontarci con opere d’arte che abbiano nella dimensione tenebrosa il proprio innesco visuale e il prioritario fulcro narrativo. Ribaltando il consueto approccio "diurno", tutto basato sull’esaltazione e sull’estroflessione dell’asprezza naturale e dell’imponenza architettonica, Nocturna Insula mira dunque a porre in evidenza quegli aspetti più riposti e quelle componenti più occulte che si celano dietro un sembiante generalmente improntato ad un eccesso di esuberanza e mediterraneità.
Figurazione classica e fughe informali, senso del pathos e giocosa levità, lirismo ermetico e vis affabulatoria si alternano nelle quindici opere in esposizione, offrendo agli osservatori un’articolata e multiforme sequenza di punti di vista e narrazioni, in grado di innescare dei meccanismi simpatetici di intensa tensione emozionale ed affettiva. Tecniche disparate (dal disegno all’incisione, dalla pittura ad olio all’acrilico, dal pastello alla ceramica) e linguaggi differenti (dall’acribia calligrafica a una maggior sintesi figurale, dai progressivi sconfinamenti verso l’informale fino alla più pura astrazione) si fanno dunque strumento d’una sentita esigenza di rinnovamento del consuetudinario approccio ai temi del paesaggio e della veduta insulari, consentendo così di procedere oltre le gore d’un verismo e d’un naturalismo ormai stantii e stiracchiati e di pervenire a un più attuale sentimento paesaggistico e vedutistico. Non si tratta, quindi, di porre in essere tentativi più o meno virtuosistici di mimesi del mondo naturale o dell’opera dell’uomo, quanto di advenire a delle forme simboliche di rappresentazione che consentano di enucleare e restituire visualmente tutti quei fremiti, quelle tensioni, quelle energie, quelle inquietudini che sono albergati nel profondo dei contesti naturali e sociali della nostra isola. In tal senso, le atmosfere notturne fungono da ideale cassa di risonanza, favorendo – al di là dei moduli espressivi adottati e del tono più o meno elegiaco o divertito dell’eloquio – la distillazione e il sedimentarsi di umori ed impressioni, di incanti e disincanti, di ossessioni e vagheggiamenti, in una "depurazione progressiva " del dato percettivo capace di restituire – seppur ineffabilmente – quel "mood oscuro" sotteso all’esteriorità.
Artefici di questa singolare trattazione sono Rosario Amato, Marta Cannizzaro, Salvatore Caputo, Aurelio Caruso, Angelo Denaro, Giuseppe Fell, Manlio Giannici, Anna Kennel, Mario Lo Coco, Paolo Madonia, Daniele Messineo, Vincenzo Nucci, Enzo Romeo, Tino Signorini, Bice Triolo.
La mostra, allestita alla galleria XXS aperto al contemporaneo (di via XX Settembre 13, Palermo), sarà visibile dal 20 novembre al 6 dicembre, dal lunedì al sabato, dalle 17 alle 20.

Salvo Ferlito - novembre 2014
 
Giuseppe Alletto
VOCI DELL’OLTRE
Alla galleria XXS aperto al contemporaneo di via XX Settembre 13 (PA), dal 16 al 31 ottobre 2014, l’interessante personale del giovane artista bagherese Giuseppe Alletto, artefice di una inusuale ritrattistica di forte impianto fisiognomico.
 
Non semplici ritratti, ma evocazioni. Autentiche evocazioni in grado di dare forma visuale a quell’esprit – o ancor meglio a quel daimon – che ha animato nel profondo i dodici personaggi prescelti ed effigiati.
Forte d’una non comune padronanza dell’arte fisiognomica e fornito di qualitative doti grafiche, Giuseppe Alletto – giovane, ma già valente artista bagherese – ha infatti saputo realizzare una personale galleria di “beneamati” (letterati e pittori, protagonisti delle arti degli ultimi due secoli), non limitandosi al semplice rispetto del puro dato di natura, ma mirando apertamente all’accurata enucleazione dei più intimi e riposti connotati della psiche. Una vera e propria attività di scavo – quella portata avanti da Giuseppe Alletto – che, procedendo dallo spunto fotografico (eletto a congruo innesco dell’ideare e fare artistici), per via di segni e di tratteggi, ha consentito il sedimentarsi sulle carte di inattese e inquietanti fisionomie, atte a rappresentare quell’Io profondo che è (o dovrebbe essere) il carattere saliente dei ritratti ben riusciti.
Agendo di grafite e carboncino (le “armi” predilette dal nostro artista), grazie ad un tratto dall’incisività forte ed assertiva (che nelle opere più recenti, Beckett e Céline, raggiunge esiti di scarificazione) e in virtù d’un contestuale gioco di avvolgimenti atmosferici e di sapienti sfumature (capace di temperare e bilanciare la “vis grafica” e al contempo di determinare un peculiare effetto visivo di tipo “ectoplasmatico-spiritico”), l’artista bagherese è dunque riuscito a dare consistenza visuale a un immaginario ritrattistico che non risponde strettamente a obblighi di mimesi (benché altamente realistico nei suoi raggiungimenti), ma che piuttosto rappresenta congruamente quell’idea degli effigiati da egli maturata nell’ambito del personale processo di introiezione del loro operato di pittori e letterati. Una sorta di disvelamento del vero volto – nel rispetto di quello schema che prevede una facies intima occultata dalla maschera sociale – che va ben al di là degli aspetti encomiastici di tanta ritrattistica dei secoli passati e che tuttavia rifugge ampiamente da modalità caricaturali (e ciò, nonostante lo stravolgimento mortuario cui non di rado è soggetta la mimica di questi personaggi), consegnando agli osservatori un distillato “negromantico” (trattandosi di trapassati) di umori e inclinazioni.
L’acume quasi luciferino di Leonardo Sciascia, il sardonico sarcasmo di de Chirico, l’atteggiamento ben più assorto di Guttuso, la destabilizzante aggressività di Beckett e l’impietosa ferocia di Céline, la visionarietà psicotropa di Baudelaire e la lontananza pensierosa di Pirandello – per citare alcuni dei ritratti più riusciti – danno dunque la misura d’una inconfondibile cifra stilistica, in cui le note “gotiche”, o ancor più “macabre”, sono il connotato prediletto e dominante. Un carattere – quello dell’espressività forte ed impattante – che avvicina Giuseppe Alletto (come molti altri giovani della sua generazione) a certi sviluppi assai recenti dell’arte fumettistica (per esempio all’opera del grandissimo Alberto Breccia, autore del memorabile e funereo Mort Cinder), a dimostrazione di come il pieno ossequio al verbo figurativo non costituisca di per sé una scelta di retroguardia, non potendo mai prescindere dalle molteplici ricerche e sperimentazioni figurali in atto nella più stretta contemporaneità.
Un modus operandi – questo di Alletto – che ci consegna un artista al contempo “classico” e “innovativo”, capace di dedicarsi a un’arte “antica”, come quella del ritratto (e per di più a grafite e carboncino), rinverdendola con moduli certamente ancora in fieri (destinati quindi ad ulteriore affinamento e maturazione), ma già altamente compiuti nella loro penetrante (e in qualche caso anche sconvolgente) intensità.
La mostra sarà visibile alla galleria XXS aperto al contemporaneo di via XX Settembre 13 (Palermo) dal 16 al 31 ottobre; dal Martedì al Sabato, dalle 17 alle 20
 
Salvo Ferlito - ottobre 2014
 
 
                
Renato Tosini
ESERCIZI DI STILE
  Disegni 2005-2012
 
Un articolato “casellario umano”, quello proposto da Renato Tosini alla galleria XXS aperto al contemporaneo, in grado di veicolare la stessa salace e misantropa anti-utopia con modalità grafico-narrative sempre sorprendenti e diversificate.
                                           
                                                 
 
Quattordici disegni di grandi dimensioni (cm 70x100), realizzati da Renato Tosini fra il 2005 ed il 2012. Quattordici opere finemente tratteggiate a carboncino e gessetti, che costituiscono una selezione assai rappresentativa dell’ideare e agire artistici del grande pittore palermitano e che quindi possono a buon diritto essere considerate una efficace “summa” del suo operato pluridecennale.
Non si tratta di semplici schizzi o di bozzetti finalizzati a successivi e più completi esiti pittorici (Tosini, purtroppo, non dipinge più da qualche anno e comunque predilige le pagine dei beneamati “moleskine” quale ottimale supporto per pensieri e sfoghi in libertà), ma di opere pienamente compiute e concluse in ogni dettaglio tecnico e linguistico, in grado di incarnare e veicolare a perfezione la sua peculiare e inconfondibile cifra stilistica. Sono infatti i suoi ormai tipici personaggi (i caratteristici “borghesi” calvi e corpulenti) ad animare gran parte di queste carte in esposizione, facendosi carico – ancora una volta – della salace critica che da sempre egli muove al mondo circostante. Essi non sono più i protagonisti delle grandi narrazioni per immagini che hanno caratterizzato i precedenti quadri ad olio – Tosini si è sempre definito uno “scrittore di dipinti” –, ma piuttosto dei soggetti monologanti in una concisa e disadorna trama da racconto breve o da acuto e fulminante aforisma. E ciò senza alcuna perdita di intensità visuale o di efficacia narrativa; anzi, la penetranza del segno grafico e la stringatezza dell’eloquio rafforzano vieppiù l’acidità urticante dell’invettiva, facendo di questi splendidi disegni un distillato del disprezzo maturato negli anni dall’autore per i vizi e i vezzi della società contemporanea.
L’ironia graffiante e pungente – ormai divenuta duro sarcasmo – non lascia più alcuno spazio a quelle componenti di incanto fanciullesco che punteggiavano la pittura precedente. Ora prevale nettamente un linguaggio figurativo ove gli abituali connotati tardo-espressionisti e neo-oggettivi (riconducibili agli exempla teutonici di Beckmann, Dix e Grosz), seppur leggermente mitigati negli aspetti più aspri e crudi, si fanno esclusiva funzione d’una analisi lucida e impietosa delle innumerevoli miserie di cui è intrisa la natura umana. Un raffinato “pessimismo della ragione” – quello consegnatoci da Tosini con questo suo ultimo casellario umano – che non dà adito a speranze o indulgenze; una sequenza di impareggiabili “esercizi di stile”, in grado di raccontare la stessa e personalissima anti-utopia con un modulo espressivo (il solito e inconfondibile “tipo borghese”, caratteristicamente calvo e corpulento) eternamente uguale a sé e tuttavia continuamente rinnovato. Una radicata sfiducia nei confronti dell’uomo – e in particolare dell’uomo di potere – che Renato Tosini ripropone ogni volta con sfumature sorprendenti ed inattese, offrendoci prospettive sempre diverse (e mai ovvie) con cui guardare nel profondo la nostra miserabile realtà.
 
 
 
 
La mostra Esercizi di stile integra e completa l’esposizione di dipinti di Tosini – Ritratto di artista come sonnambulo – attualmente in corso (fino al 25 aprile) alla Galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea (via Vittorio Emanuele 303, Palermo) e potrà essere vista alla Galleria XXS aperto al contemporaneo (via XX Settembre 13, Palermo) fino al 22 marzo, dal martedì al sabato, dalle 17 alle 20.
La mostra si avvale anche del gentile contributo di Pucci Giuffrida delle cantine Al-Cantara di Randazzo.
 
 
 
 
 
 
                                                                     
Salvo Ferlito (marzo 2014)
 
MARIO LO COCO
 
LA TERRA E I COLORI
Una equilibrata ed armonica interazione fra scultura, grafica e pittura, nei perimetri della raffinata arte ceramica di Mario Lo Coco. In esposizione dal 14 al 28 novembre 2013 alla galleria XXS aperto al contemporaneo di via XX Settembre 13.
 
Una sintesi perfetta di volume e di colore. E’ questo il connotato saliente e distintivo delle raffinate ceramiche plasticate da Mario Lo Coco, artista di notevole inventiva e non comune manualità, capace di trasformare l’informe materia argillosa in opere di indiscusso pregio estetico.
Arte antica, quella ceramica, da annoverare senza dubbio (al pari della pittura e della scultura) fra le prime manifestazioni artistiche dell’umanità; e tuttavia troppo spesso negletta e ancor oggi sottovalutata, sì da venir relegata, con una certa sufficienza, nell’ambito (a torto ritenuto subalterno e ancillare) delle arti cosiddette minori o decorative. Una distinzione, quella fra arti maggiori (grafica, pittura e scultura) ed arti minori (tutte le altre genericamente classificate fra le discipline dell’artigianato artistico), assolutamente fittizia e inappropriata, come del resto dimostrano i tanti movimenti (uno per tutti l’Arts and Crafts influenzato dalle teorie di William Morris) che della loro piena equiparazione si sono fatti programmaticamente artefici e promotori. A quale categoria, infatti, ascrivere assoluti capolavori quali i vasi ellenici di Eufronio o le splendide statue ceramiche cinesi della dinastia Tang (per non parlare dell’incredibile esercito di terracotta sepolto a Xi’an) oppure gli spettacolari manufatti italiani d’epoca rinascimentale (primi fra tutti quelli dei Della Robbia), a quella delle grandi (e vere proprie) opere d’arte o semplicemente a quella del pur qualitativo artigianato artistico? E ancora, per venire ai nostri giorni, come inquadrare le performances ceramiche di Picasso e soprattutto di Fontana e di Leoncillo? Come piene espressioni della loro migliore e più rappresentativa produzione artistica o come meri (e meno significativi) divertissement all’interno di un più rilevante percorso di protagonisti delle arti visuali?
Domande retoriche, ovviamente, cui però è in grado di rispondere con congrua pertinenza proprio Mario Lo Coco, il quale ha per l’appunto posto la modellazione e la cottura dell’argilla colorata al centro dei personali orizzonti ideativi e gestuali, pervenendo ad esiti plastico-pittorici di non comune rilevanza visuale. Quello di Mario, infatti, è un itinerario che, pur muovendo dalle determinanti premesse della tradizione figulina isolana (si pensi ai manufatti sei-settecenteschi di Burgio, Sciacca, Trapani o Caltagirone o, più recentemente, all’operato del palermitano De Simone), tende tuttavia a snodarsi lungo direttrici di forte e marcata innovazione, caratterizzate da un continuo ed inesausto anelito alla ricerca ed alla sperimentazione tecnico-linguistiche.
Non pago di un lessico visivo di tipo più classicamente figurale, il nostro Mario ha voluto, non a caso, esplorare i territori linguistici dell’astrazione, optando, da qualche anno a questa parte, per soluzioni più caratteristicamente informali, in cui il libero fluire del colore (vivacizzato da sapienti misture di pigmenti vetrosi ed inserti di metallo fra loro ben amalgamati da adeguate tecniche di cottura) si fa pienamente carico della esplicitazione di profondi contenuti emozionali ed affettivi. E tutto ciò, ovviamente, sempre nell’ambito d’una accurata e sapiente manipolazione della materia prima (l’argilla), sì da poter pervenire, come già detto, ad un armonico equilibrio fra forma e colore, fra sviluppo volumetrico nello spazio e caleidoscopico inceder delle cromie. Gli azzurri acquosi, i rossi incandescenti, i neri tratteggiati, i gialli solari si compongono così sulle superfici invetriate, interagendo al contempo con parti scabre e non dipinte (ove a padroneggiare è il tipico rossore spento della terracotta), in un gioco articolato di squilli e di silenzi, di aggetti e di incavi, di rientranze e fratture della struttura cretacea, che allude a una visione simbolica del mondo naturale, in cui l’elemento ctonio e quello aereo paiono contendersi lo spazio in una sorta di continuo (ma equilibrato) confronto-scontro di forze primordiali. Non è un caso, quindi, che nelle opere di Mario ricorra di frequente la forma sferica, quasi a voler alludere all’orbe terraqueo e a quell’insieme di dinamismi naturali, sui quali proiettare intensamente i più riposti sussulti della psiche. Un dato, quello del riferimento allegorico al mondo fisico, che affiora in maniera sistematica anche nelle ceramiche dal caratteristico andamento spaziale più lineare (le recenti composizioni di elementi ipercromici che tendono a snodarsi in lunghezza su lastre diafane di plexiglass), le quali paiono portare a pieno compimento la completa integrazione delle varie discipline artistiche (disegno, pittura e scultura) in un unicum sintetico e omogeneo di forte e penetrante impatto visuale.
E’ dunque questo il grande merito artistico di Mario Lo Coco, l’aver raggiunto l’equlibrata interazione fra le arti “maggiori” nei perimetri elettivi d’una disciplina erroneamente considerata “minore” e “subalterna”. A inoppugnabile dimostrazione dell’infondatezza di qualsivoglia gerarchia di valore fra le varie arti e ad ulteriore conferma della sola preminenza della vis del pensiero immaginifico sotteso al gesto artistico.
La mostra sarà visibile dal martedì al sabato, dalle 17 alle 20.
             
 
Salvo Ferlito (novembre 2013)
 
ENZO  ROMEO
Gli “IMPROVVISI” pittorici dell’artista trapanese Enzo Romeo in esposizione alla galleria XXS aperto al contemporaneo di via XX Settembre da mercoledì 22 maggio a giovedì 6 giugno
                                                                             
         
  
Raffinato colorista, incline ad orchestrazioni cromatiche di assoluta e minimale eufonia (ove la predominante impostazione binaria di campiture nere che incombono sul bianco calcinato appare d’improvviso squarciata e violata da contenute ma intense accensioni di rossi, di azzurri, e meno frequentemente d’altri colori), Enzo Romeo è artista capace come pochi (quanto meno in terra di Sicilia) di conferire vis emozionale e calor affettivo al sapiente e misurato accostamento delle cromie.  Un impianto coloristico-compositivo – quello prediletto da Romeo – dall’espressività al contempo pausata ed impellente, in grado di intridere le tele d’un panico e profondo senso di mistero, che, promanando come un’aura avvolgente, finisce col circonfondere gli osservatori del proprio irretente e soggiogante magnetismo.
E’ sempre la natura, con le sue non del tutto perscrutabili dinamiche, a fungere da fonte ispiratrice e innesco narrativo, e tuttavia, nella pittura di Romeo, giammai si indulge a mimetismi esasperati o a descrittivismi di maniera (e questo nonostante la grande perizia tecnica che gli consentirebbe esiti formali di virtuosistico naturalismo), prevalendo nel suo linguaggio la prediletta inclinazione per l’allusione simbolica e per il gioco di rimandi, con cui lasciare come in sospeso lo sviluppo narrativo ed investire così gli osservatori del ruolo di lettori-scrittori del tutto compartecipi del racconto visuale.
 
La parvenza pausata delle atmosfere non tragga, dunque, in inganno, poiché fondata – come accennato – su un sottile equilibrio di spinte e controspinte coloristiche (fra neri e bianchi), nelle cui bloccate tensioni trova però sufficiente luogo l’inserimento epifanico dell’improvviso ipercromico (i suddetti inserti di bagliori cromatici) e dell’allegoria segnica (lettere, numeri ed altre fantasmagorie figurali), in una sintesi lessicale di figurazione ed informale dagli esiti di assai rara eleganza, i cui connotati specifici si ergono a peculiare e inconfondibile cifra estetica e stilistica.
Mistero e rivelazione, nascondimento e smascheramento sono pertanto i tratti salienti della poetica per immagini di Enzo Romeo; pittore siciliano in grado di rilanciare la forza panica e l’arcano insondabile della natura insulare, tuttavia senza mai enfatizzarne gli aspetti più estroflessi e consueti, ma piuttosto depurando lo sguardo da ottiche eccessivamente compiaciute ed estetizzanti e soprattutto liberando il gesto da griglie linguistiche fin troppo viete e precostituite.
La mostra, curata da Salvo Ferlito, sarà visibile fino al 6 giugno, ogni giorno (tranne i lunedì e i festivi) dalle 17 alle 20.        
 
 
 
                                                BIAGIO  PANCINO
                                                  dal 4 al 18 aprile 2013
                                                        I SEGNI E LO SPAZIO
 
Sedici dipinti, realizzati da Biagio Pancino nella Parigi degli anni ’50 del secolo trascorso, testimoniano la temperie artistica e culturale dell’Europa del secondo dopo-guerra.
                                             
Opere realizzate fra i primi anni ’50 e i primi anni ’60 del secolo trascorso, in grado di incarnare a perfezione lo spirito del proprio tempo. Piccoli dipinti, eseguiti con svariate tecniche miste, pervasi non a caso di quelle profonde istanze di rinnovamento che animarono l’arte europea all’indomani dell’ultimo conflitto mondiale.
Improntate ad una esibita e programmatica volontà di superamento del linguaggio figurativo, connotate da un inesausto anelito alla ricerca ed alla sperimentazione tecnico-linguistiche, palesemente foriere d’una sentita pulsione all’accantonamento del localismo estetico in funzione d’una espressività di sapore più internazionale, queste sedici pitture di Biagio Pancino (esposte alla Galleria XXS aperto al contemporaneo di via XX Settembre 13 dal 4 al 18 aprile) costituiscono pertanto una imperdibile testimonianza della temperie artistico-culturale delineatasi in Europa subito dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, e specificamente di quel radicale e diffuso desiderio di fattiva renovatio (artistica e socio-politica) di cui molti intellettuali si fecero allora portatori.
Non è dunque un caso, che tali opere siano state dipinte nella Parigi del secondo dopo-guerra, ove l’artista veneto (di San Stino di Livenza, in cui è nato nel 1931), alla pari di tanti altri giovani europei della sua generazione, si trasferì agli inizi degli anni ’50, desideroso di immergersi in prima persona nel flusso tumultuoso di quelle idee innovative (in ambito filosofico, cinematografico, visuale e letterario) di cui – in quel momento – la capitale francese era attivissima fucina e centro irradiatore. La diretta conoscenza di alcuni dei grandi maestri delle avanguardie del primo ‘900 (da Fernand Léger a Sonia Delaunay e Gino Severini) nonché la frequentazione di intellettuali e altri giovani artisti italiani (come Joppolo e Tancredi, anch’essi presenti a Parigi in quel momento e destinati ad assurgere a un ruolo di primo piano nello scenario artistico di quegli anni) segnano profondamente l’ideare e agire pittorici di Biagio Pancino, inducendolo ad abbandonare definitivamente la figurazione (sono ancora dei primi anni ’50 alcune raffinate chine dedicate al lavoro operaio, raffiguranti scene di bonifica ambientate nelle paludi nei pressi di San Stino), in funzione d’un approccio sempre più astrattista alla pittura, nel quale risuonano vibranti e dinamici echi futuristi ma anche palesi consonanze con gli orientamenti del lessico informale.
Da Donna seduta (tratteggiato a china e lapis nell’agosto del 1953), in cui le ultime propaggini figurative vanno scomponendosi in una sequenza di evidenti unità geometriche, a Dinamismo (dipinto a tempera sempre nel ’53), ove l’ormai ubiquitaria scansione geometrica della superficie presenta dinamiche cadenze ancora tipicamente futuriste, proseguendo poi con Novembre (eseguito a gessetti policromi nello stesso anno), nel quale si assiste ad un rarefarsi ed ammorbidirsi di segno e di colore, fino alla coppia Ghirigori e Serial ghirigori (altre due tempere risalenti al 1958), contraddistinta da un andamento assolutamente sinuoso delle stesure, e in ultimo giungendo alla serie Salambò (ulteriori tre tempere prodotte nel ’60), pervasa da un incedere acceso e caotico di vorticose pennellate di colori puri, è dunque tutto un incalzante susseguirsi di soluzioni tecniche e moduli espressivi dai connotati difformi e polimorfi, e tuttavia capaci di rendere con estrema precisione il processo evolutivo dell’insistita ricerca condotta dall’artista veneto nell’arco di un decennio.
Una rilevante testimonianza – come già detto – di significativo valore storico ed artistico, grazie alla quale poter mappare e definire non solo le tappe di un percorso strettamente personale, ma anche – e soprattutto – poter ricostruire le atmosfere e le tensioni di un fase di snodo assolutamente cruciale nelle convulse vicende visuali del secolo appena trascorso.
 
                                                                                         Salvo Ferlito (marzo 2013)