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- SEBASTIANO CARTA
- "MISCONOSCIUTO FUTURISTA DI
SICILIA"
fino al 7 dicembre, una antologica di opere inedite
E una piccola-grande raccolta di assoluta completezza, questinsieme
di fogli sui quali Sebastiano Carta (Priolo 1913 - Roma 1973) ha saputo trasporre il
proprio articolato immaginario ideativo.
Piccoli dipinti duna straordinaria compiutezza, di forma e contenuto, sì da
costituire una ideale galleria, specchio fedele dun percorso creativo sviluppatosi
nel volgere di un intero quarantennio.
Nellintreccio di linee e di colori, felice confluenza di suggestioni astrattiste,
dinamismi di matrice futurista e sussulti espressionisti, si svela infatti tutta
lesuberante irrequietezza estetica di questautore.
Poeta, oltre che pittore, artista completo incline ai movimentismi (fu amico di Marinetti
e fra gli artefici, nel 1932, della seconda ondata futurista), Sebastiano Carta ha
incarnato pienamente lo spirito del tempo, col suo continuo ricercare moduli linguistici
sempre nuovi (tanto letterari, quanto visivi) cui affidare limpellenza del proprio
disagio esistenziale. Si spiega in questi termini il patente eclettismo che lo ha
contraddistinto, la continua tendenza a mutuare spunti e sollecitazioni dalla temperie
contingente, attraversata con raffinata eleganza in punta di penna e di pennello
nellarco di gran parte del secolo trascorso.
Schizzi, acquarelli, piccoli dipinti, realizzati a partire dagli anni 30 e fino agli
anni 70, testimoniano di una inesausta e sempre brillante capacità di confrontarsi
ad ampio raggio col mondo circostante, in una relazione osmotica di interscambio attivo e
mai di acritica passività. Non stupisce, pertanto, che nelle opere degli anni 30 si
trovino a convivere in assoluta armonia la più razionale delle astrazioni geometrizzanti,
orchestrata in un disegno a penna che pare quasi un traliccio, e la figurazione morbida
dun soggetto nautico, schizzato con guizzante sinteticità su carta quadrettata,
riecheggiante atmosfere di ascendenza scipioniana. Né, tanto meno, può sorprendere che
nella produzione degli anni 40 coesistano un vedutismo di chiaro sapore informale,
baluginante di dissolvenze coloristiche nel fantasmagorico accenno degli edifici, e una
vis espressionistica, di tratto e di colore, di cui impregnare certi volti o maschere
mostruose. Con pari levità, Carta ha saputo frequentare il lessico picassiano e le
dissertazioni dellespressionismo astratto di matrice americana, il tardo recupero di
influssi kandinskijani e il gusto ideografico per il segno in cui riunire, con
sintesi felice, la lezione di Capogrossi e linteresse per larte aborigena.
Dunque, tutto si incontra e si sussegue in questampia produzione di Sebastiano
Carta, a riprova di una curiosità e duna avidità estetica che lo guidarono - senza
soluzione di continuità - nel suo percorso artistico. E ciò ben al di là del mero
citazionismo modaiolo, come daltronde dimostra la non comune capacità di entrare
nel merito di tanti linguaggi senza mai scadere nella sclerotica ripetizione
dello schema o del cliché testè appreso, ma piuttosto procedendo in punta di fioretto
fra toccate, con affondo, e fughe verso nuove mete.
Poliedrico e versatile, Sebastiano Carta ha confermato col suo operare come lessere
vero artista non si possa né si debba limitare a un ambito troppo
specialistico e un po sclerotico (rigorosamente poetico o pittorico), ma comporti un
continuo espandersi e debordare extra limina, seguendo sempre nuove direttrici di
pensiero, in una esplorazione inarrestabile delle proprie potenzialità ideative e di
espressione.
Una lezione cui guardare, meditando, per la sua sconcertante attualità.
La mostra, curata da Aldo Gerbino, può essere vista giornalmente dalle 17 alle 20.
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- FULL IMMERSION
- Il termine gruppo, in riferimento agli artisti nisseni le cui
opere saranno esposte fino al 28 Settembre alla galleria Studio 71, pare assai più
pertinente del termine scuola (più volte riecheggiato nei giorni di preparazione della
mostra), proprio perché questultimo rimanda allidea di un accademismo
alquanto sclerotico e cattedratico, francamente estraneo ad una cerchia animata da un
così inesausto e dinamico anelito alla ricerca.
Parlare di gruppo è dunque più opportuno, soprattutto in considerazione del comune
sentire che ne anima i componenti; un comune sentire che si sostanzia di un rapporto
dialogico con larte del passato tanto prossimo, quanto remoto e che ha
nella insistita associazione fra immagini e parole, nella spoliazione delle parole stesse
dogni convenuto aspetto semantico in favore di quello puramente segnico di
strumento visuale, il proprio cardine elettivo attorno cui ruotare.
Appare, pertanto, esemplificativa, ai fini di quanto detto, la produzione di Salvatore
Salomone, la cui spoglia riproposizione della scrittura cuneiforme, tipica delle antiche
culture mesopotamiche e mediorientali, filologicamente tracciata su semplici superfici
argillose, sottolinea e rimarca levocativa forza visuale della scrittura. Di più,
dà lidea di come i semplici segni, anche se recuperati da antichità remote, ancor
prima del loro compiuto articolarsi fonetico e grammaticale, si pongano come codice visivo
fortemente straniante nella sua palese e ieratica totemicità.
Esaltare il valore iconico del segno, dunque, ben al di là e al di fuori di
ogni ortodossa e convenuta proposizione semantica del rapporto fra significati e
significanti, è loggetto prioritario della comune ricerca dei nostri artisti
nisseni. Una ricerca che giunge ad esiti di radicalità decostruttiva nelle opere di
Franco Spena, nelle quali il dialogo col passato prossimo, rappresentato dalla pop art,
dal ready made e soprattutto dalle tavole parolibere di matrice futurista, conduce al
completo azzeramento dogni semanticità convenuta, in favore duna iconicità
preponderante, affidata a brandelli di etichette assemblati simbolicamente a patchwork,
come a configurare la babele e la caducità dei codici comunicativi tipici della
contemporaneità globalizzata, con conseguente elaborazione duno slang eminentemente
e puramente visuale.
Ridotto a simbolo, il segno recupera così la sua primaria valenza ideografica,
racchiudendo e comprimendo in sé ampie elaborazioni concettuali. Si spiega in questi
termini la scarna rarefazione che connota lo spiccato totemismo di Michele Lambo. La
marcata plasticità, rafforzata dalla pervasiva intensità dei monocromi, conferisce
infatti alle sue opere unaura sacrale, da idoli antichi (ma dalleloquio
moderno), assolutizzandone la poliedricità concettuale in un impianto formale
coerentemente polisemico e alludente.
Nellapprocciare le stesse tematiche, Calogero Barba opta invece per un impianto
ipertestuale, incardinando la simultaneità panottica dei suoi freddi cifrari digitali e
delle immagini seriali in una griglia cartesiana e razionale il cui rigore è però
interrotto da improvvise escrescenze ceree e da chiodi che rimandano a un ineludibile dato
antropologico e quindi a una residuale traccia di comunicatività concreta e materiale, in
un mondo che pare disumanizzato da soffocanti codici informatici.
Una tendenza alla liberazione del gesto artistico, e quindi alla espressione delle
infinite potenzialità di significazione psico-emotiva ad esso sottese, che trova nei
dipinti di Giuseppina Riggi la sua massima evidenza; e ciò in virtù di una scrittura
ridotta a grafema schizzato con una trance quasi espressionistica, che va ben al di là di
qualsiasi steccato o schema razionale in favore duna resa puramente emozionale.
In contrapposizione, quasi in antinomia, colpisce invece lordinata e ossessiva
acribia da aracnide, con la quale Agostino Tulumello pare tessere la superficie delle sue
tele, giungendo ad occuparne lintero campo visuale con un grafismo esasperato, fatto
di precisissimi tocchi di colore, che scandiscono implacabilmente ogni frazione del tempo
intercorrente in quella comunicazione per immagini posta in essere fra artista e
osservatore.
Immagini, segni, scritture e linguaggi, che, alla fine di questo breve excursus sul gruppo
di Caltanissetta, si ricompongono nei termini dun lessico figurativo più usuale
nelle opere di Peppe Sabatino, e in particolare in una di esse, una tela nella quale un
personaggio di spalle contempla un panorama aspro e roccioso, punteggiato da croci e
sormontato da una sequenza di lettere insensate, fra le quali affiora però, con andamento
periodico, la parola speranza, quasi a configurare lestremo messaggio
nella bottiglia, lanciato nel vuoto desertificato dellattuale eccesso di
comunicazione.
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- personale di ERNESTO TAVERNARI
- Ernesto Tavernari è un amabile "giovane artista" di
appena 91 anni, in grado di realizzare dipinti di incredibile freschezza. Le opere esposte
alla galleria Studio 71 - visibili fino al 25 maggio, ogni giorno, tranne la domenica,
dalle 17 alle 20 - rivelano infatti un immaginario d'invidiabile vivacità, purtroppo non
sempre riscontrabile in artisti assai più giovani.
Sarà per la fondatezza della teoria del pascoliano "fanciullino", sarà perchè
invecchiando si rafforza la memoria a lungo termine, sarà perchè gli artisti rimangono
eternamente un po' bambini, sta di fatto che Tavernari si muove in un mondo dominato da
delicate proiezioni oniriche di sapore esplicitamente infantile. Che si tratti di
"Centri di città" o di fantastici animali - con una prevalenza di felini - i
soggetti paiono sempre tratteggiati dalla mano "incorrotta" (per dirla alla
Rousseau) d'un bimbetto e fluttuare in nebulosi sfondi di grande intensità cromatica -
fra accensioni di rossi e squilli di giallo e verde - dalla resa di lieve scabrosità
materica.
Una ingenuità - sia detto con chiarezza - che non ha mai i connotati della naivetè, e
che rivela - piuttosto - una riflessione su certi modelli chagalliani e kandiskiyani, ben
metabolizzati e rielaborati in termini - se possibile -ancor più scarni e sintetici, e
con un occhio alle proprie, molteplici, esperienze di scenografo.
E' dunque una gioiosa affabulazione quella di Tavernari, un narrare per immagini
fiabesche, che non puntano, però, alla semplice astrazione del riguardante da un contesto
- quello attuale - dominato da dinamiche (il profitto, il successo, la visibilità a tutti
i costi) insensate ed opprimenti; ma che invitano ed esortano - seppure dolcemente - al
recupero d'una dimensione "creativa" e "immaginifica" della psiche,
troppo spesso soffocata e seppellita nell'abbrutimento della vita adulta.
La mostra, patrocinata dalla Provincia Regionale di Palermo, è stata curata da Aldo
Gerbino e Vinny Scorsone.
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- VIAGGIO SPAZIO TEMPORALE
- ALLINTERNO DI UN GRAFICO URBANO
- personale di Gianni Maria Tessari (fino al
27 aprile)
- Il sentimento del tempo - di un tempo soggettivo e psicologico,
ancor prima che fisico - permea nel profondo tutta la produzione di Gianni Maria Tessari.
Einsteinianamente, relativizzando spazio e tempo, Tessari - la cui personale,
pertinentemente intitolata Viaggio spazio temporale allinterno di un grafico
urbano, sarà visibile alla galleria Studio 71 fino al 27 aprile, ogni giorno,
tranne la domenica, dalle 17 alle 20 - ci descrive una dimensione tutta interiore
dellincedere di cronos e del suo relazionarsi con lambiente umano. Non è un
caso, pertanto, che egli - veneto dorigine, ma torinese dadozione - ambienti
le sue opere in plumbei contesti metropolitani, fra anonime e grigie architetture,
automobili sfreccianti e folle alienate ed indistinte. Qui e là, ad interrompere la
monotimia-monocromia di fondo, come finestre aperte su salti spazio-temporali, affiorano
riquadri di accesissimo colore dai palesi accenni fitomorfi, quasi ad alludere ad una
possibile via di fuga - forse percorribile nel solo mondo dei sogni -
dallangosciante massificazione della vita urbana.
In tal senso, lopera di Tessari si colloca idealmente in una linea di continuità
con le poetiche di de Chirico e, soprattutto di Sironi, che della solitudine metropolitana
e delle periferie sono stati insuperati (e insuperabili) cantori. Rispetto a questi,
Tessari si differenzia sia per un linguaggio estremamente scarno e semplificato (a volte
con qualche eccesso didascalico), che per un vissuto strettamente individuale, nel quale
confluiscono le esperienze dellinurbamento forzato di masse contadine, avvenuto
negli anni 50 e 60.
Una vicenda che evidentemente ha segnato il nostro artista, il quale ne ha fatto un
cardine della propria pittura, però trasfigurando il dato sociologico in una introiezione
malinconica, sulla quale - visti i ritmi della vita quotidiana - è opportuno soffermarsi
a meditare.
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- SENZA TITOLO
- scatola di legno,
plexiglas e filo di ferro
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- A SUD NIENTE DI NUOVO?
- (fino al 23 marzo)
- Non sappiamo se a sud vi sia alcunché di nuovo, ma di sicuro
vè molto di interessante da osservare.
Pare, infatti, che i giovani artisti le cui opere saranno visibili fino al 23 marzo alla
galleria Studio 71 (ogni giorno dalle 17 alle 20) siano in preda ad una incontenibile
esuberanza espressiva, ad una vivacità creativa che lascia ben sperare per il futuro
artistico della nostra isola.
Molte le tecniche ed altrettanti i linguaggi, ma comune il filo conduttore che unifica
produzioni e gesti tanto variegati: una sorta di neo-umanesimo al contrario,
che spinge questi artisti ad una attenta riflessione sulla figura umana (tematica
preponderante in questo allestimento), presa a pretesto quale punto di partenza (o di
arrivo?) per una minuziosa rappresentazione di condizioni esistenziali liminali o
addirittura sconfinate ben oltre il border line.
Ecco allora luomo di mezza età, abbarbicato su un asinello-giocattolo, farsi
drammatica espressione (nel suo iperrealismo) duna totale regressione ad uno stato
infantile che non è più la semplice e lecita rivendicazione duna quota
dinfanzia nellassurdità della vita adulta, quanto piuttosto - lo si legge nel
suo sguardo acquoso e implorante verso losservatore, quasi a coinvolgerlo
psicologicamente nelle proprie dinamiche mentali - la lucida descrizione duna
psicosi conclamata o, in alternativa, di quel delirio compensatorio che fa da contraltare
alla esibita normalità sociale e che si estrinseca nel chiuso privato della
propria casa.
Unanalisi profonda dellio che comporta anche lo scandaglio minuzioso della
propria immagine, indagata - grazie allautoscatto - con ossessiva acribia, come se
variando la distanza dal soggetto (la messa a fuoco) la luce ed il colore potesse
cogliersi la pur minima e fuggevole vibrazione interiore.
Altrove la condizione umana sembra ridotta a tratto residuale, a mero frammento lasciato
sulla sabbia, a traccia o segno incisi su carta, a presenza aleggiante fra oggetti
personali (significativamente immortalati su foto in bianco e nero), a feticcio
inquietante, o a intrecci inestricabili fra immagini e parole. Fino a giungere agli scarti
residuali del nostro vivere sociale, ai rifiuti dei nostri consumi, ormai svincolati da
chi li ha prodotti e quindi elevati al rango di icone della angoscia esistenziale che ci
attanaglia. Un orientamento cui si contrappongono - nel senso di un umanesimo
classico, che recupera la centralità della figura umana in chiave più
ottimistica - solo due piccole sculture nelle quali un adulto ed un bambino cavalcano
animali di pura fantasia, come a voler ribadire una piena e ritrovata armonia fra
luomo e la natura.
Un percorso altamente immaginifico sotto il profilo della molteplice declinazione
dellego e del suo modo - non sempre e non proprio fisiologico - di riflettersi nel
corpo sociale. Un gioco di specchi che ci restituisce nuovi modelli dumanità sui
quali occorre soffermarsi a meditare.
- Artisti che hanno esposto:
- Sergio Amato - Marco Battaglia - Rita Casdia - Boberta Civiletto -
Carmela Corsitto - Giulia Cosentino - Marco Danese - Alessandro Di Giugno - Andrea Di
Marco - Massimiliano Donatiello - Martin Emschermann - Raimondo Ferlito - Elena Ilardi -
Letizia Porcaro - Arianna Oddo - Daniela Riccioli - Giuseppina Riggi - Giuseppe Spatola -
Giuseppe Tomasello.
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- FRANCO SPENA DAL CAOS A UN ORDINE
NUOVO
- (fino al 28 febbraio)
- Lintreccio fra immagini e parole ha radici antiche. Eppure
Franco Spena le cui opere saranno visibili per tutto febbraio, giornalmente dalle
17 alle 20, alla galleria Studio 71 pare in grado di recuperare questo genere con
brio ed inventiva.
Furono soprattutto i futuristi a sfruttare per primi liconicità delle parole
nelle arcinote tavole parolibere e nei caleidoscopici collages ,
assemblandole in vorticose composizioni di grande e innovativa suggestione ottica.
Travalicando i contenuti puramente semantici e privilegiando, piuttosto, quelli semiotici,
essi seppero infatti valorizzare laspetto segnico insito nei termini correnti,
nonché sottolinearne la prorompente valenza estetica ed amplificarne con un
impianto proprio della nascente pubblicità le potenzialità comunicative.
Ebbene, muovendo proprio da queste esperienze di riferimento e sincretizzandole con il
linguaggio visivo della Pop Art, Spena ha ripensato e in certo qual modo
ridefinito le modalità espressive del nostro lessico. Ne è venuto fuori un patchwork
(realizzato con frammenti di lattine incollati su supporti assai scabri, recuperando così
anche il ready made, larte povera e, perché no, influenze di gusto
arabo-bizantino) a tratti vorticoso, in grado di destrutturate-ristrutturare lusuale
comunicazione iconico-verbale. Con questo procedimento, lartista sembra aver
tracciato una sorta di cosmogonia (di ciclicità vita/morte/rinascita, di
big-bang/big-crash) della scrittura, di cui viene evidenziata la subitanea usura quale
oggetto di consumo non diverso dai prodotti che essa reclamizza. Ecco allora la
progressiva Caduta di lettere ed il conseguente loro Accumulo
riuscita metafora della morte della parola per logoramento e del suo ridursi a
spazzatura, a materiale di risulta da riciclare per nuove ripartenze comunicative
dare il senso del limite insito in ogni linguaggio e del suo essere pura convenzione,
quindi caduco e perituro manufatto (per quanto mentale) destinato a finire con le civiltà
che lo hanno elaborato; strumento naturalmente incline a decomporsi (alla pari delle
sostanze organiche), per poi rinascere a rinnovata vita, procedendo per
lappuntoDal caos a un ordine nuovo.
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- COLLETTIVA STUDIO 71
Le collettive natalizie possono talora riservare
notevoli sorprese. E il caso della piccola, ma interessantissima, mostra allestita
nei locali della galleria studio 71 (via Vincenzo Fuxa 9), comprendente opere grafiche che
spaziano dalla figurazione classica alla completa dissoluzione astratta.
Incisioni e disegni di maestri di gran vaglia, che nella loro variegata articolazione si
rivelano in grado di offrire unampia panoramica sulla migliore produzione artistica
del secolo appena trascorso. Basti dire che fra le non poche chicche in
esposizione è possibile ammirare uno splendido disegno a carboncino e gessetti di Sironi
un tipico scorcio urbano tutto giocato sulla inconfondibile gamma cromatica dei
grigi, tonalità assurte a cifra del suo malinconico linguaggio pittorico ed esistenziale,
qui però ravvivato da una molteplicità di figure capaci di ridimensionarne la
desolazione abituale o una incisione di Vallotton un interno con giocatori
di carte immersi in un marcatissimo contrasto chiaroscurale riconducibile alla lezione
rembrandtiana o, ancora, un carboncino di Mastroianni esempio di astrazione
geometrizzante, in cui il segno scuro, stagliandosi sul candore della carta, assume una
criptica e totemica valenza ideografica .
Gli amanti della pittura figurativa avranno inoltre la possibilità di apprezzare un
assorto ed intensissimo ritratto femminile di Sughi eseguito a tecnica mista ed
ambientato in un bar in cui il grigiore delle pareti, degli arredi e degli individui sullo
sfondo è rotto, non solo visivamente, ma anche e soprattutto emotivamente,
dallazzurra veste della donna in primo piano e levocativo Giochi
di sala di Attardi un disegno scarno e rigoroso, raffigurante una grande
stanza con quattro personaggi cristallizzati nella ieratica e monumentale solitudine dei
loro gesti, quasi ad evocare stati danimo improntati ad unirrevocabile
incomunicabilità e chiusura verso il mondo .
Sul versante della pura dissoluzione astratta, da segnalare una caleidoscopica gouache di
Corpora, un paesaggio immaginario nel quale la polifonica sarabanda dei colori
pare scardinare ogni vincolo formale.
Lallestimento visibile fino al 15 gennaio, ogni giorno, tranne la domenica,
dalle 17 alle 20 è completato da opere di Bruno Caruso, Bardi, Kodra, Provino,
Guttuso, Sciavolino, Carmassi, Nocera, Aurelio Caruso, Rosanna Martino, Turchiaro, Della
Porta, Silvestri, Cosenza, Zancanaro, Sucato, Tornabuoni e Farinelli.
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- OMAGGIO AL PAESAGGIO
SICILIANO
Il sentimento del paesaggio è una costante
ineludibile nel panorama creativo degli artisti siciliani. Loggettivo fascino della
natura insulare esuberante nella varietà di aspetti che la compongono: dallo
splendore dei litorali, ora accoglienti e sabbiosi, ora aspri nel susseguirsi di
scogliere, alla sconfinata desolazione dellentroterra, mitigata dal verde erboso
della primavera ed acuita dal giallo intenso delle stoppie riarse dal sole estivo, fino al
rigoglio degli ormai sparuti agrumeti ed al possente svettare e giganteggiare
dellEtna ha rappresentato nel tempo (quanto meno negli ultimi due secoli) una
inesauribile, e talvolta anche troppo abusata, fonte dispirazione.
"LOmaggio al paesaggio siciliano", la piccola
mostra allestita nella sala conferenze "Padre Baglisi" di Isola delle Femmine
(lex macello comunale sito in via Palermo 51), ne dà ampia conferma, presentando
una rosa di artisti il cui linguaggio spazia dallossequio filologico alla tradizione
ottocentesca fino a declinazioni più squisitamente contemporanee, nelle quali i soggetti
rappresentati si configurano come puro riflesso di articolate condizioni esistenziali.
Se in Giuseppe Fell il riferimento allottocento siciliano
a Lojacono, Leto, Catti, per citare i pittori più rappresentativi , ma anche
alla macchia toscana, è esplicito e dichiarato, però vissuto in termini di ideale
apprendistato alla luce dellinsegnamento dei virtuosi del passato (tantè vero
che ormai da anni lartista ha abbandonato questa produzione, per volgersi ad un
linguaggio assai più originale che si dipana fra figurazione crittografica e dissoluzione
astratta), in Rosario Cassano invece ladesione al canone della tradizione figurativa
vedutistico-paesaggistica appare, pur nella articolazione della orchestrazione cromatica e
nel nitore del tratto, un po troppo irrigidita in schemi alquanto obsoleti e deja
vu.
In Nino Bruno la cui pittura è permeata di un grafismo
assai incisivo e di una palpabile vivacità cromatica ed in Antonino Liberto
anchegli dichiaratamente figurativo, ma con una propensione per cromie fredde ed
alquanto antinaturalistiche, quasi a bilanciare la prorompenza della natura isolana
si assiste ad un concreto tentativo di aggiornamento del paesaggismo e di adeguamento
sintattico ad una più moderna sensibilità. Ma è solo nelle opere di Pino Finocchiaro
dallelegante impaginazione coloristica fatta di accostamenti armonici e
misurati nella loro ponderata polifonia ed ancor più in quelle di Aurelio Caruso
con il loro spoglio eppur estremamente emozionale impianto compositivo e tonale
che i cascami di una rappresentazione mimetica e cartolinesca vengono
definitivamente spazzati via, per giungere ad un uso più simbolico del paesaggio ormai
ridotto a spunto e pretesto despressione di stati danimo e proiezioni
psico-emotive.Sfrondato dei suoi aspetti più squisitamente veristico-naturalistici, il
paesaggismo si eleva così a poetica compiuta ed attuale, dotata dun lessico
profondo in grado di cantare con assoluta fedeltà (ben più che con un approccio
fotografico) lintimo colloquio stabilito dallartista col mondo circostante, e
di coinvolgere il riguardante in una sinergia sensitivo-affettiva assai cogente e di gran
lunga più intensa di quanto non accadesse col minuzioso descrittivismo del passato.
La mostra (visibile fino al 6 gennaio, giornalmente ore
17.00-19.00 ), patrocinata dal Comune di Isola delle Femmine, è stata curata da
Vinny Scorsone della galleria Studio 71
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- ANTONINO PERRICONE Irretenti vortici e
magnetiche circonvoluzioni, tratteggiati in unaccensione di bagliori iridescenti.
Sono questi i soggetti prediletti da Nino Perricone, la cui poetica pare scaturire dalla
fusione della migliore tradizione dellastrattismo razional-geometrizzante con
suggestioni di matrice ottico-psichedelica. Immaginifico tornitore, Perricone ripensa lo
spazio-tempo delle tele visibili fini al 28 dicembre al nuovo centro direzionale
della Provincia di Palermo in via San Lorenzo 312g in termini di ideali lamine
metalliche ad arte ripiegate in magiche spirali procedenti con ipnotico andamento. Ne
deriva un incanto visuale la cui forza trae linfa da una tavolozza misurata ma brillante,
ravvivata da bronzei riflessi tonalmente accordati secondo orchestrazioni suadenti ed
armoniose. Il riguardante, straniato e spiazzato, viene così sospinto in un contesto
fenomenico in cui nulla è fuori posto, ed ove tutto appare scandito geometricamente
secondo precise proporzioni matematiche. Sarebbe erroneo, però, credere che la griglia
estetica e quindi mentale ostinatamente adottata (e declinata in tutte le
sue potenzialità visive) dallartista ecceda in rigore cartesiano. Le sue
innumerevoli Efemeridi, infatti, descrivono una cosmologia dinamica, il cui
continuo divenire è costellato di biomorfismi e palesi tracce di
figuratività. Non un universo freddo e razionale ad onta dei luccichii metallici
, ma un plasma pulsante e vitale che si organizza, come in natura, per aspera
ad astra in ottemperanza alle leggi del caso e della necessità. Facendosene
cantore, in questo suo procedere fra caos e cosmos, Perricone dà corpo a un linguaggio
assai vitale che ribadisce le inconsunte potenzialità dellastrattismo (e ne
giustifica le ragion dessere in questa fase di pieno ritorno alla figurazione)
dimostrandone lattualità quando dotato della dovuta inventiva e quando svincolato
da astrusi concettualismi di maniera. La mostra, patrocinata dalla Provincia Regionale di
Palermo, è stata organizzata dalla galleria Studio 71 con i contributi di Vinny Scorsone,
Claudio Alessandri, Aldo Gerbino e Piero Longo.
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