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- Fiammetta
Bonura e Dario Panzica
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DI TERRA
E D’ACQUE
- Personali
di Fiammetta Bonura e Dario Panzica
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Quello
con la natura è un rapporto pressoché obbligato per ogni
artista.
- Si
tratti di convinti seguaci del verbo figurativo o di teorici
del più esasperato lessico astrattista, tanto in un caso,
quanto nell’altro, il riferimento al mondo naturale –
inteso in tutte le sue classiche componenti: animale,
vegetale e minerale – è un passaggio imprescindibile, cui
nessuno può sottrarsi ai fini d’una profonda e completa
ispirazione.
- Non
vi è infatti immaginario artistico che possa essere
considerato esente da un tal tipo di contaminazione; anzi
– a voler essere più chiari –, non v’è immaginario
che non sia in qualche modo strutturato e plasmato sulle
suggestioni mutuate dalla nostra grande madre.
- Non
si sottraggono a tale significativa influenza nemmeno
Fiammetta Bonura e Dario Panzica, i quali, proprio
sull’intenso dialogo intessuto con l’ambiente naturale,
hanno edificato interamente la corposa espressività del
loro articolato gesto artistico scultoreo.
- Non
è quindi un caso, che il titolo delle loro parallele
personali sia, per l’appunto, Di terra e d’acque,
come a voler sottolineare la diretta filiazione delle opere
qui esposte dal fertile grembo della madre di ogni cosa.
- Un
confronto – quello con la fonte ispiratrice – che in
Panzica assume i connotati “morbidi e avvolgenti” della
mimesi formale, seppur rivisitati con un poetico e
intimistico ripensamento soggettivo, mentre in Bonura si
configura quale serrata e asperrima dialettica, dagli esiti
scabri e spesso assai sofferti.
- Peltaster
(una stella marina in bronzo confitta nell’arenaria
smussata e dilavata), Albero (un bronzetto di
efficacissima sintesi formale) o il raccolto e meditativo Tuffatore
(anche questo un bronzo gittato con armonico senso delle
proporzioni, ma egualmente corredato di profonde sfumature
psicologiche) sono infatti le tangibili dimostrazioni con
cui Panzica dà prova d’un approccio lessicale che, pur
non indulgendo a compiacimenti o a manierismi naturalistici,
si caratterizza per una interessante volontà di
sperimentazione – soprattutto nell’accostamento di
diversi materiali – tuttavia mai debordante dai rigorosi
perimetri della classicità. Viceversa, Macchina
d’assedio, Angolo offensivo II, Torre
d’avvistamento (tutti bronzi dal totemico e imperioso
slancio verticale), con la loro spigolosa e aguzza
volumetria – del resto assai coerente con la
“bellicosa” onomastica che li caratterizza –, sembrano
testimoniare d’un rapporto di violenta e intensa fisicità
intercorso fra la Bonura e la materia da essa plasticata,
che trova nel lacerato ma euritmico trattamento delle
superfici (in
termini di geometrico e petroso comporsi di taglienti
estroflessioni e di improvvise rientranze) un linguaggio
decisamente meno ancorato a canoni convenuti (facendo salva
la lezione di Arnaldo Pomodoro), ma non per questo meno in
grado di penetrare l’essenza lucreziana della natura:
ovvero il suo essere al contempo una madre e una matrigna.
- Due
diversi modi di “sentire”, la cui assoluta
complementarietà costituisce l’ulteriore conferma di come
si possano legittimamente percorrere diversi itinerari – e
tutta la produzione artistica attuale pare confermarlo –
sospinti però da analoghe impellenze di carattere
espressivo.
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- Ilario
Quirino
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- Le
vibrazioni cromatiche della natura
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- Sono
esposte 23 opere inedite realizzate dall’artista in questo
ultimo biennio e dedicate alla natura. Uomini-albero, come
scrive Vinny Scorsone nel
suo testo in catalogo, “(…) foglie, paesaggi, si
materializzano sulla superficie pittorica movimentando non solo
lo spazio interno al quadro ma anche quello prossimo ad esso.
Ogni pennellata sembra essere un’onda magnetica che si propaga
nel vuoto colorando i pensieri di chi osserva.
- Mentre
in alcuni dipinti le campiture cromatiche appaiono controllate e
racchiuse in binari e recinti, in altre esse si frantumano in
segmenti luminosi che danno alla tela un apparente movimento,
scaturito dalle pulsioni interne dell’opera stessa.
- Nei
lavori di Quirino i colori sono ben distinti tra loro, come se
ci fosse un desiderio latente di incontaminazione, che lo porta
a concepire il quadro come un insieme di singole unità in cui,
pur sovrapponendosi, le stesure di pellicola pittorica
mantengono intatte le proprie caratteristiche espressive. Nel
turbine di queste frammentazioni, Quirino sembra non riuscire a
rinunciare al blu che, giocando con la propria gamma, dà vita a
profonde indagini spirituali e a leggère serenità mentali.
Partendo dal celeste e percorrendo le vaste tonalità del
turchese, dell’azzurro e del blu oltremare, egli approda,
infine, al blu di prussia in grado di inghiottire ogni cosa.
- Molte
volte le opere di Ilario Quirino sembrano quasi campi di
battaglia in cui l’antica lotta tra l’essere e l’apparire
e i millenari tormenti dello spirito prendono forma attraverso
l’accostamento improvviso di tinte calde e fredde.(…)”
- La
mostra resterà aperta fino al 23 ottobre 2004 con orario dalle
17.00 alle 20.00 di tutti i giorni.
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Mariella Calvaruso
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- La
Recensione della Mostra
L’esibita
pirotecnica cromatica parrebbe indicare una incoercibile
pulsione psicoreattiva.
- Ilario
Quirino, infatti, non è soltanto un pittore, ma è anche un
medico legale; il che costituisce – di per sé – una causale
più che fondata per l’adozione di tavolozze assai prolisse e
fiammeggianti. La triste durezza della sua professione, tutta
improntata allo stretto contatto col dolore e con la morte, non
può non averlo segnato, finendo con l’influire
significativamente sulla scelta d’un lessico pittorico
ridondante – nel senso migliore del termine – di garrule e
vistose sarabande coloristiche.
- Stesi
puri, in accostamenti netti e assai decisi che non indulgono a
mediazioni timbriche od a liquidità tonali, i pigmenti
utilizzati da Quirino, col loro abbacinante fluire, sembrano
dunque testimoniare d’una esibita volontà di ricostruzione
visuale del mondo, operata in chiara antitesi con i grigiori e i
mezzi toni fin troppo dominanti nella quotidianità.
- Volti,
paesaggi (indifferentemente invernali, mediterranei o esotici),
infiorescenze varie, vegetazioni opulente, tutti rigorosamente
declinati con un caleidoscopio di incandescenti cromie e con una
ibridata e apparentemente antinaturalistica morfologia (che
prevede spesso incroci fantasiosissimi fra piante, uomini,
animali e fiori), non sono pertanto che la palpabile riprova di
questo radicale ripensamento della natura, posto in atto da
Quirino attraverso l’empatico ascolto di quel murmure vibrante
che la percorre nel profondo.
- Ed
è in fondo irrilevante, che il gesto di Quirino rievochi
lessici ed atmosfere da avanguardie storiche – dei Fauves, in
particolar modo –, poiché la genuinità del sentire (e quindi
del pensiero conseguente) prescinde da manierismi o citazioni,
rivelandosi all’osservatore in tutta la propria dirompente e
sincera forza di comunicatività.
- Cromaticamente
affabulatorie, le tele del pittore cosentino evocano quindi una
dimensione arcana ed incantata – non a caso, pertinentemente,
Vinny Scorsone, curatrice della mostra insieme ad Aldo Gerbino,
ha fatto riferimento al mozartiano “Flauto Magico”
–, totalmente depurata da cascami e orpelli realistici e nella
quale domina la più pura e sfrenata fantasia. Dimensione
utopica e catartica, in cui l’occhio finisce col disperdersi
nei racemi coloristici e la mente può vagare liberata alla
ricerca della sua vera identità.
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- La
FONDAZIONE GIUSEPPE MAZZULLO Palazzo Duchi di Santo
Stefano – Taormina tel. 0942 610276
- e
la GALLERIA D’ARTE STUDIO 71 Via V.zo Fuza n. 9 90143
Palermo tel. 091 6372862
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- Sono
lieti di comunicare che da sabato 28 agosto 2004 dalle
ore 19.00 sarà possibile visitare
presso la Fondazione
Mazzullo di Taormina la mostra collettiva:
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- PERCORSI
INCROCIATI
- a
cura di Marcello Scorsone
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- Saranno
esposte opere di Antonella
Affronti – Alessandro Monti – Antonino G. Perricone
e Gianni Maria Tessari, quattro artisti
diversi che in questa mostra colgono l’occasione per
fare gruppo confrontando le loro esperienze e le loro
ricerche.
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- Antonella
Affronti
Si
dedica sin da giovanissima al disegno e alla pittura
partecipando a mostre collettive. La sua prima mostra
personale risale al 1982 a Palermo e nello stesso anno
è invitata alla “Salerniana” di Erice dove conosce
il critico d’arte Albano Rossi che la seguirà per
qualche tempo. Seguono negli anni mostre a Mantova,
Malta, Ravenna e alla ‘Ca D’oro di Roma dove conosce
Bruno Caruso e lo scrittore Costanzo Costantini.
- Nel
1995 è presente alla prima rassegna arte fiera di
Palermo. Nel 1996 entra a far parte del gruppo artistico
“2001” di Marsala. Di questo periodo sono
innumerevoli le mostre itineranti, personali e
collettive. Vive e lavora a Palermo.
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Alessandro
Monti Le
evanescenze che un tempo erano date dal colore, oggi
sono figlie della sabbia. I sogni si sono fatti più
concreti, ma il silenzio continua a dominare la scena.
- Monti,
nella sua vita, credo che non abbia mai dipinto istanti
fugaci nel tempo. Ciò che ha sempre caratterizzato
quest’autore è la “lentezza” delle sue
“apparizioni”. Ogni dipinto e’ una porta
socchiusa, un narratore che incanta il suo pubblico.
Sono flash dilatati nella dimensione temporale di una
esistenza, contenitori di racconti dimenticati dal
proprio affabulatore, frasi riportate in vita solo dal
chiarore lunare che restituisce all’inchiostro,
sbiadito dal trascorrere delle stagioni, l’antico
vigore.(Vinny Scorsone -
dalla presentazione in catalogo della mostra presso la
galleria Studio 71 Palermo). Vive e lavora a
Roma.
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- Antonino
G. Perricone
Dal
1955 espone le sue opere in mostre personali e
collettive in Italia e all’estero con notevoli
consensi di critica. La sua grande passione per l’arte
lo porta ad aprire una galleria d’arte a Palermo “El
Harca”, esperienza che durerà dal 1963 al 1968; in
quegli anni si rende promotore di una borsa di studio
per giovani diplomandi del Liceo Artistico e
dell’Istituto d’Arte di Palermo. Nel 1965 insieme a
G. Denaro, G. Leto, Antioco e Caruso costituisce la
scuola pittorica dei materocromatici.
In passato ha collaborato con la rivista Palermo
e attualmente con la Galleria d’arte Studio
71 di Palermo.Vive e lavora a Palermo.
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- Gianni
Maria Tessari
Già
musicista, ora pittore ha esposto in Italia e
all’estero. Si interessa allo studio di psicologia
della percezione. Nel 1988 pubblica con la Casa Editrice
Com’MEDIA di Torino, il suo libro d’artista “Città
Quadro”. “…Figure disfatte che vanno a rarefarsi,
scorrono veloci in superfici apparentemente immobili Tra
le maglie di questa trama intessuta dall’artista si
espandono immagini liquide che si trasformano, colano in
un incessante ribollire di pigmento magmatico. Queste
sono le rappresentazioni del tempo relativo, quello di
cui noi stessi ci accorgiamo, che ci passa addosso
lasciando i segni del suo transito. Passato, presente e
futuro si incrociano come entità inesistenti rendendoci
schiavi di una condizione puramente fantastica…” (Vinny
Scorsone dalla
presentazione in catalogo per la mostra di Castelbuono
allo spazio d’arte Cycas). Vive e lavora a
Torino.
- La
mostra si concluderà il 9 settembre 2004 – orari
della mostra: dalle 9.30 alle 13.00 e dalle 16.00 alle
19.00 tutti i giorni ed è stata realizzata in
collaborazione con la galleria Studio 71 di Palermo.
- Mostra
testi e schede a cura di Vinny Scorsone.
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- L’addetto
stampa
- Mariella
Calvaruso
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- ALESSANDRO
MONTI
- Mostra
Personale
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Fino
a giugno sarà possibile visitare, presso la galleria
"Studio 71" la personale di Alessandro Monti,
artista che vive ed opera a Roma.
- L’asserzione,
tutta spirituale, di Alessandro Monti, si attesta nella
sua appartata pregnanza linguistica, quasi in un fluire
lento, assorto, condotto, gentilmente per mano, nella
fluviale dispersione di un animo che contempla se
stesso. Poi, passa all’osservazione analitica
dell’altro, del contiguo, predisponendosi, in tal
modo, alla recezione di un sommesso brusio di quanto ci
circonda: ora terra, animale, ora traccia dissepolta di
uomo. E c’è da osservare in che modo l’attuale
operare creativo di Monti si pone nel diagramma di una
continua, dialettica contrapposizione espressiva, per
localizzarsi,a lavoro ultimato, nell’odierna
necessaria armonia.
- Altre
volte si rivolge all’assolutezza d’una ricerca fatta
di continui equilibri, avvertiti in tutta la loro
precarietà, tra gli adusi accadimenti del quotidiano.
Ecco, allora, che "nella sera incredula"
(2002) si apre una sorta di prologo alla poetica di
questa rastremata condizione: l’icona dispersa nel
reticolo di un linguaggio arcano, d’un sottile velo
labirintico appena emerso dalle nubi coscienziali.
- Una
spartizione territoriale si condensa, subito, in questi
lavori: un confine ligneo che attraversa il corpo della
tela e ne corrobora il valore simbolico, il suono stesso
di vaghi ornamenti, innervazioni, simulazioni di figure,
idee, tralci appena percepibili. Tale linguaggio si
sposta, spesso, sul diagramma di un’acquisizione fatta
della materia del suo "dire " costante: una
ipertrofia di sostanza legnosa dispersa sulla
superficie, costituendo ("nello sguardo il
richiamo", 2002) un addensato monocromatico, con
tenui sfumature dove la trama terrestre si orienta verso
i margini indistinti della percezione interiore.
- Altre
volte lo spazio appare decisamente trafitto, corroso da
un’assonometria definita, quasi un voler restituire
elementi plastici nel sollevamento della superficie, un
incremento della forza del trasmettere. Così, non a
caso, tale ricerca, sottolinea certe contiguità con le
aree di linguaggio arcaico, forme di vaga suggestione
singlossica, che sarebbe piaciuta alla ricerca di Accame,
alla simbologia intrinseca ad ogni esotratto, affinché
la stessa morfologia dei marchi qui espressi
riconducano, oggi, alle avvertite esigenze disposte tra
la scrittura, l’eco insonne della parola e la
raffigurazione. Un approdo alla totemica lacerazione
racconta l’attualità di questo percorso,
ripristinando sensazioni modulari già poste negli anni
Ottanta, sulla carta, da Giorgio Bompadre, proprio
attraverso la grammatica della lacerazione visiva, qui,
in aggiunta, della possibilità dinamica mediata da
epidermiche tattilità, rivolta anche ad una certa
tensione amorosa, sensuale, colma, però, di un vago
inespresso dolore. Ecco, infine, avvertirsi le più
forti accensioni cromatiche tra verticali ferite dello
spazio, germinanti in un tessuto vascolare offerto come
alimento del desiderio, dell’elevazione ideale
("l’intenso richiamo" e "in terra di
confine", 2003). Di colpo, poi, il modello di
Alessandro stravolge il precedente linguaggio; una
sacralità soffusa pervade lo scenario: ora in senso
oracolare, ora sorretta da note indistinte di poetici
respiri.
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TOTO'
VITRANO
- "Il
furore creativo del fuoco"
- dall'8 al 27
maggio
-
- C’è,
in quel di Partinico, un metallurgo efestino che ama
ripensare la natura a somiglianza del proprio
immaginario.
- Nella
sua – riteniamo – fumosa fucina, Totò Vitrano
forgia il metallo, morbidamente plasmandone le taglienti
durezze in biomorfismi di laminare spessore o
articolandone le modulazioni in fantasiosi assemblaggi
di più ariosa e volumetrica spazialità. Al suo tocco
sapiente, dunque, l’inerte materia pare avvivarsi e
così – riscattata dalla bruta natura che la
contraddistingue – assurgere a nuova dimensione,
divenendo morfologicamente palpitante e iperdinamica.
- Non è
quindi un caso, che le superfici delle sue opere
appaiano sistematicamente punteggiate di tracce e segni
di simulata ascendenza fossile, come dovuti al materico
sedimentarsi di organismi microscopici e ameboidi, né
tanto meno può sorprendere il ricorrere di ossidazioni
rugginose, quale sintomo evidente d’un continuo
trasmutarsi del metallo quasi fosse cosa viva.
- Mulinando
il suo elettrodo da “Vulcano tecnologico”, Totò
infatti anima le lamiere predilette, operando su di esse
un autentico e accurato lavoro di ricamo e di traforo
fino a trasformarle in racemi fitomorfi o in sagome
totemiche e allusive. La trasmutazione alchemica può
giungere in tal modo al suo pieno compimento, lasciando
il simbolico residuo dell’idea fattasi forma compiuta
e sviluppata. E tutto ciò in virtù del fatto che
quella di Vitrano non è semplice “creazione”, ma
piuttosto travagliata e complessa ideazione, messa in
atto attraverso un proceder faticoso – per aspera
ad astra – che abbisogna di ripetute prove e
continui esperimenti.
- Lo
dimostra, d’altronde, il copioso corredo grafico che
accompagna i suoi molteplici lavori (sculture e rilievi
a sbalzo), ovvero quell’insieme di carte sulle quali
ogni segno sembrerebbe tracciato con furiosa compulsività,
come in preda ad una irrefrenabile e inconsulta trance
dionisiaca. Ma il gesto, in vero, a ben guardare, è
tutt’altro che dovuto al caso o all’azione di
qualche “daimon”. L’artista-mago, infatti, segue
sempre il filo dei pensieri, gestendo con sapienza le
emozioni.
- Non
semplice catarsi, dunque, ma progetto; concretizzarsi
fattivo dell’immaginario in simulacri durevoli,
destinati a divenire vestigia ben visibili
del proprio “transito” nel tempo.
La mostra è
stata curata da Vinny Scorsone
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- GIUSTO
SUCATO
- Personale
"Passio - dai giorni della sofferenza"
- Dal
27 marzo al 20 aprile 2004
-
- <<......Nel
corso del tempo molti artisti hanno affrontato il tema, così
delicato, della passione di Cristo, sviluppandolo ciascuno a
seconda delle proprie conoscenze e della propria sensibilità........>>
- <<....In
queste opere di Giusto Sucato c'è una violenza fulminante che
colpisce lo spettatore in pieno viso. Centinaia di chiodi ritorti
(i più dei quali fabbricati manualmente), si conficcano nelle
tavole stillando sofferenza. Quelle stesse tavole sono il
corpo di Cristo, sono la nostra cara terra trafitta dalla
stoltezza umana. Nella visione di Sucato, Gesù è il nostro
pianeta. Così le spine della corona divengono piogge acide che
bruciano il suolo; i chiodi inflitti la barbarie che è nel mondo;
gli squarci e le ferite, le bombe che devastano il pianeta.
....>>
-

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- Giusto Sucato
è un artista autenticamente immaginifico e al contempo
genuinamente irregolare. Una irregolarità – la sua – non
programmatica né di maniera – come tante, pianificate a
tavolino, in cui è dato spesso imbattersi –, ma che sgorga
spontaneamente dall’inestricabile intreccio fra
predisposizione naturale e profondi vissuti antropologici.
- Il suo essere
un artista nato ed operante in un piccolo contesto provinciale
– Sucato è di Misilmeri – ha sicuramente influito (in
questo caso positivamente) sul suo percorso artistico,
consentendogli una maturazione fuori dai canoni più classici
ed istituzionali e determinando per ciò l’elaborazione
d’uno stilema estremamente peculiare. Il lessico di Giusto
è, infatti, un “parlare” assolutamente contaminato e di
grande ibridazione, in qualche modo “ante litteram”
rispetto alla più recente diffusione del meticciato
linguistico nel campo delle arti visuali. Ed è un eloquio in
cui convivono, ben amalgamati, l’alto e il basso, le scorie
d’una consolidata tradizione – quella che parte, almeno,
da Duchamp, col noto “Orinatoio”, e che passa per
tutte le operazioni di “riciclaggio” di materiali
disparati che hanno segnato l’intero novecento – e le
vestigia d’una nobile cultura popolare, in una armonica
mistura che non pecca mai di intellettualismo né pencola in
alcun modo verso la più vieta e scontata naiveté.
- Sucato
assembla oggetti e materie di svariato tipo e provenienza, nel
rispetto d’un principio naturale d’equilibrio che gli
consente il raggiungimento di interessanti ed inattesi esiti
estetici e concettuali. Egli pare operare – si suppone
inconsciamente – nel solco teorico del recente principio
della “complessità”, per cui – in sintesi – “un
dipinto è qualcosa di più significativo della semplice somma
dei colori che lo compongono”. Per dirla con le parole
dell’economia, Giusto Sucato è palesemente in grado di
conferire un “valore aggiunto” di natura artistica ai suoi
assemblaggi, riscattando in pieno i materiali utilizzati dalla
loro arida e bruta fisicità. Basta guardare le opere
attualmente esposte alla galleria Studio 71, per averne chiara
e piena contezza. Proprio il tema della “Passione” – per
sua natura e tradizione estremamente impegnativo –, su cui
è incentrata l’intera mostra, conferma le doti di Sucato,
esplicitando la non comune attitudine alla manipolazione della
materia inerte, in tal modo “trasmutata” in pregevole
manufatto artistico.
- Particolarmente
sobri e rigorosi, questi assemblage di Sucato giocano sulla
patente “durezza” dei materiali – prevalentemente di
metallo – e sul simbolico contrasto cromatico fra i vari
componenti, contraddistinto da inquietanti esplosioni di rosso
vivo sul grigiore prevalente. Chiodi, frammenti di sbarre,
segni graffiti e marchiati, lettere d’un alfabeto
immaginario (caratteristica assolutamente peculiare di Sucato,
che se ne avvale in termini soprattutto strutturali)
concorrono a trasmettere una idea di violenza e martirio di
massima efficacia psico-visuale, e ciò senza
mai cedere in alcun modo alla facile retorica.
- Un po’
lontano da certe precedenti sperimentazioni – nelle quali
prevaleva l’uso del legno e delle scritte immaginarie, però
con qualche eccessiva ridondanza e verbosità –, ma sempre
fedele al suo lessico personalissimo, Sucato offre, attraverso
queste nuove opere, un saggio inoppugnabile della propria
maturità e della possibilità di esplorare tematiche più che
abusate con una freschezza inventiva ed una penetranza visuale
non comuni. E questo, senza alcuna prolissa magniloquenza, ma
restituendoci in toto l’estrema profondità emotiva d’un
dramma umano nonchè la soggiogante enormità d’un
insondabile mistero.
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- SERGIO
FIGUCCIA
- Personale
"I Solidi Ignoti"
-
Il
fascino dichiarato per la valenza totemica della pietra, per la
sua entità monolitica e imponente, per la sua esibizione
architettonica, suggeriscono, in questo lavoro “in fieri” di
Sergio Figuccia, un bisogno di testimoniare il mondo in cui ci
troviamo immersi, sottoposti a intense emozioni percettive. Ma
anche sollecita la testimoniata esigenza di cogliere l’emblema
favolistico di trascorse culture, l’interezza del mito che
pervade le nostre visioni del mondo trascorso e della cultura,
capaci di permearci.
- Questi
spatolati acrilici, resi nel loro frammento di “puzzle”,
vogliono confidarci il desiderio ludico in una continua
rivisitazione, ora del passato ora di quella condizione
coloristica intensamente partecipata dall’autore. Il desiderio
di costruzione delle icone, la solarità imperiosa, il portato
fatto di macerie, di emblemi litici, la vocazione spinta alla
sacra disponibilità dell’eterno, suggeriscono a Figuccia una
visione arcaica, primitiva nel suo “vedere” il mondo.
Un’esigenza “proto-fauve” , o forse, di onirico
iperrealismo, sottolineano quei segni del corpo del disegno
legato a trascorsi substrati, sedimentati sin dalla prima metà
del Novecento.
- Comunque,
oggi, tensione e contrasto di pigmenti vivono l’esacerbazione
dei temi: muri, frontiere di pietra, civiltà sepolte, brani
d’una scrittura geologica che affascina il primitivismo
espressivo di questo pittore.
Uno scenario denso di materiali percettivi, raccolti e
riversati con trasporto arcano, manuale, non rigenerati
dall’analisi intellettuale, ma restituiti d’istinto nella
loro interezza di primordiale messaggio iconico.
- L’ironia
che contrassegna il messaggio di Figuccia si attesta nella
pienezza della geometria euclidea.
Una tensione aperta al tempo e allo spazio di auspicate e
necessarie maturazioni, lanciata verso una sacrale visibilità
del desiderio d’espressione.
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Dal
24 gennaio al 14 febbraio 2004
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