FONDAZIONE  MUDIMA

Via Tadino, 26 - Milano

 

 
 
Alessandro Papetti
Ritratti 2003
 Dal 07.06 al 15. 07.2005
 
 
Papetti - Il disagio della pittura
 
 “Lo scompenso che crea disagio si produce tra la sfera del dicibile e quella dell’indicibile” afferma Giuseppe Ranzi nel suo saggio critico del libro/catalogo in cui presenta - con Tommaso Trini e Aldo Nove - la bella e importante esposizione, in due “atti”, dedicata ad Alessandro Papetti presso la “Fondazione Mudima” di Milano. Il primo si è aperto lo scorso 13 maggio, il secondo ha preso avvio il 7 giugno.
Il titolo Papetti - Il disagio della pittura potrebbe trarre in inganno, essendo per un artista un controsenso. Non comunque per il pittore meneghino poiché - come afferma lui stesso, esprimendo il profondo del suo animo - “Nella follia o nella sofferenza degli altri si vive la propria, la si esorcizza e la si butta fuori, piuttosto che rischiare di esplodere”. Chiarisce inoltre che l’utilizzo dell’elemento cromatico e della pennellata rappresentano gli elementi basilari per la resa delle sue opere “I colori dei miei quadri sono i colori della mia città. E colori molto usati nella tradizione pittorica lombarda [...] Il mio uso del colore dipende strettamente dal fatto che quello che mi interessa non è raccontare, né definire con precisione virtuosistica un oggetto o una figura [...] Non si sa se questi concetti possano considerarsi il proprio manifesto, la sua idea di pittura, di sicuro è ciò che da sempre “testimonia” nei suoi manufatti.
 
   Opere - le sue - che si avvicinano, per empatia, a quelle di Varlin (Zurigo 1900-Bondo 1987), “L’irrime-diabilmente figurativo” come scrisse lo scrittore e drammaturgo Dürrenmatt, suo amico e “critico”. Lo svizzero amava giungere, in molti suoi capolavori, alla dissolvenza del colore, dell’immagine.
Tele - quelle di Papetti - che lo assimilano a Bacon per qualcuno dei temi trattati, come nella serie delle “crocifissioni”, oltre che per la “carnalità sanguigna” che accomuna le opere dello scomparso artista anglosassone ad alcune di quelle dell’artefice milanese.     
 
   Giovanni Testori, che è stato il suo Mentore, scrisse che Papetti può benissimo stare “[…] all’interno di quella "congrega" di artisti, nata fra Lombardia e Canton Ticino, che ha come "Maestri" Varlin e Giacometti. Anche se Papetti, dopo aver appreso e applicato la "poetica della confraternita", se ne distacca per "inventare una sua attualissima e atroce nuova oggettività" che, possiamo aggiungere, si afferma attraverso un continuo scandagliare il mondo esterno rivolgendosi a soggetti sempre diversi”.
Lo si può rilevare nel breve concetto espresso da Papetti, come lo si può osservare aggirandosi attraverso le sale della “Fondazione Mudima”, che espone i suoi dipinti.
 
   “E’ probabile che, come già è accaduto in passato, tutto il senso del nostro secolo stia in una metafora, la metafora presa e gettata nell’agone di un tempo in fieri, da un artista che si scopre, lì per lì, investito di un potere visionario dagli esiti conclusivi”. Così scriveva Maurizio Cecchetti nel saggio/presentazione Il novecento di Varlin nel catalogo Varlin del 1994. Il senso di questa frase può benissimo essere attribuito a Papetti, dato il suo prodigarsi nel cercare di rendere visibile, a chi osserva le sue opere, il senso della vita - lo stesso che ricercava lo straordinario pittore svizzero - in tutte le sue manifestazioni. Lo si può percepire nei bellissimi ritratti, nella figura umana, nei nudi che l’artista milanese fa vibrare attraverso un uso soggettivo del colore, ma soprattutto tramite un segno rapido e nervoso. Papetti riesce a cogliere, nell’aggressività deformante della sua visione, l’intima dignità di ogni essere umano.
 
   Medesimo discorso per tutti gli altri suoi soggetti: gli spazi industriali, gli immensi cantieri navali, la città e, da ultimo, il ciclo dell’acqua. L’acqua, o per meglio intendere il tema della sua fluidità, concetto qui riproposto - con recenti lavori - per l’occasione. L’acqua, l’elemento in cui nasce il “soffio vitale”, il fluido che accompagna da sempre l’uomo e ogni altro essere vivente.
A proposito di quest’ultima serie pittorica in Dettaglio News del 2002, per la “Galleria Forni” di Milano, si leggeva tra l’altro: “Vi sono donne, uomini e bambini, che si tuffano, nuotano o semplicemente si lasciano avvolgere e cullare dalle onde. I loro corpi ne riflettono i riverberi e giochi di luce fino a dissolvere la propria consistenza volumetrica e diventare tutt’uno con la materia acquatica. In questi ultimi due anni l’attività di Papetti continua a registrare la realtà circostante al fine di svelare i misteri di un’esistenza purtroppo ineffabile”.
 
   Alcuni addetti ai lavori hanno più volte dichiarato che le figure di Papetti possono essere raffrontate, per la felicità della sua mano, a quelle di Giovanni Boldini. E’ vero, il celebre ritrattista può benissimo essere stato da lui“studiato” quando il milanese frequentava Brera. Tuttavia più di un secolo è trascorso nel frattempo.
Gli storici e i critici d’arte non hanno mai smesso di catalogare, paragonare, cercare similitudini fra il pittore del momento e gli ormai museificati artefici, anche di un recente passato, o con i propri contemporanei. Così però si rischia di non dare a Papetti ciò che è solo opera sua.
 
    “Un artista che si scopre, lì per lì, investito di un potere visionario dagli esiti conclusivi”, così terminava - nel breve scritto sopra riportato - Cecchetti. Ecco l’unica differenza tra Varlin e Papetti. Sì, differenza, poiché quest’ultimo è ancora sulla via della ricerca, dell’affermazione definitiva, a contrasto con il suo amato “maestro”e non solo d’arte, ma su tutto di VITA.
 
Roberto Barzi 

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