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- Saper
intercettare con uno scatto tempestivo la precisa intersezione
fra la cronaca e la storia. E’ questo ciò che
contraddistingue inoppugnabilmente un gran fotoreporter.
- E
Nicola Scafidi è stato senza dubbio un gran fotoreporter. Uno
dei principali testimoni delle vicende politiche, di cronaca
nera, di costume e di spettacolo accadute in Sicilia fra gli
anni ’40 e ’70 del secolo XX.
- Basta
guardare la paradigmatica foto del cadavere del bandito Giuliano
riverso sulla spianata del cortile de Maria a Castelvetrano –
autentico ed esemplare "scoop" giornalistico per
immagini, poi diventato icona di riferimento per Francesco Rosi,
per il suo indimenticabile film Salvatore Giuliano – per
percepire a pieno il non comune fiuto del bravo reporter di cui
Scafidi era dotato, per constatare la sua impareggiabile
capacità di farsi trovare al posto giusto al momento giusto,
cogliendo ogni sfumatura dello hic et nunc nel preciso momento
del suo divenire e concretarsi.
- Col
suo obiettivo Scafidi infatti scruta dando sempre priorità alla
rilevanza della notizia, privilegiando l’aspetto della
comunicazione come previsto dal dettato giornalistico.
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- Similmente
all’operato del monumentale Robert Capa – che non a caso,
nell’estremo tentativo di intercettare l’immagine fuggente,
rischiò anche di morire durante lo sbarco in Normandia e poi
saltò in aria su una mina in Indocina –, Scafidi cerca sempre
l’inquadratura possibile e più chiara, optando per l’assoluta
comprensione e la piena leggibilità senza mai eccedere in
ricercatezze estetizzanti (pur con un occhio all’armonia della
composizione) e soprattutto senza mai indulgere ad edulcorazioni
narrative o a censure visuali. La sua è una fotografia
dichiaratamente politica – nell’accezione più alta e non
engagé del termine, nonostante lalunga militanza in un
quotidiano di chiara opposizione a certi "assetti di potere
locale" quale è stato L’ORA – nella misura in cui fare
politica – per un fotoreporter – significa primariamente
restituire all’osservatore la vera essenza dei fatti
immortalati, consentendogli di maturare in piena autonomia un
proprio punto di vista in assenza di artificiosi condizionamenti
o precostituite parzialità.
- Quando
Scafidi fotografa il generale Patton a Palermo, inquadra a
perfezione lo "stato delle cose", ovvero il peso del
controllo esercitato dai "liberatori americani" sulle
nascenti dinamiche della vita politica insulare; e parimenti,
quando fissa su pellicola la folla oceanica all’arrivo di
Finocchiaro Aprile (leader del movimento indipendentista
siciliano) all’aeroporto di Boccadifalco nel 1944, egli rende
congruamente lo "spirito del tempo", cioè quella
inclinazione demagogica a far leva sui bisogni e sulle attese
della massa per scopi meramente utilitaristici (di sostanziale
conservazione di consolidati meccanismi di potere) che da sempre
– ad onta d’ogni programmatica volontà di
"cambiamento" e "innovazione" –
contraddistingue l’agire delle élites isolane.
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- E
non è un caso che questa mostra si concentri proprio su quei
convulsi eventi degli apparentemente lontani anni ’40 del
secolo trascorso; non è un caso poiché – mutatis mutandis
– l’idea di "gestione del potere" e – in
definitiva – il modo di fare politica delle classi dirigenti
di allora appare non dissimile da quello delle attuali.
Sfruttare – come detto – i bisogni della gente, alimentare
grandi aspettative, manipolare con la propaganda, incutere
timori (si pensi alla deriva armata dell’E.V.I.S., il
cosiddetto esercito indipendentista, e alle gesta criminali e
terroristiche della banda del già citato Salvatore Giuliano),
orientare quindi verso la conservazione (che in Sicilia si
traduce nella preservazione dei rapporti "strutturali"
fra governanti e mafia) è quanto è accaduto in quegli anni
torbidi e violenti, in quel "laboratorio siciliano"
che ha ribadito un modus operandi – quello di un notabilato
camaleontico e immarcescibile, aggrappato con ogni mezzo
alle leve del potere – destinato ad irradiarsi dalla nostra
disgraziata isola a tutto il territorio nazionale.
- A
tutto ciò – seppur in controluce e filigrana – fanno
riferimento le foto scattate da Scafidi in quel caotico periodo;
foto che ci consegnano una testimonianza, un fedele documento,
in grado di indurre profonde riflessioni oggi come allora, e la
cui inconsunta validità sta proprio nell’intonsa capacità di
analisi (e smascheramento) delle dinamiche – spesso oscure e
perverse – con cui il potere è fattivamente gestito dietro l’artata
parvenza della democrazia.
- La
mostra INDIPENDENZA DELLA SICILIA 1943-1950, organizzata da
Angela Scafidi e curata da Giacomo Maltese, sarà visibile negli
spazi di via D’Amelio 30 (ex galleria Mediterranea) fino al 16
maggio, dal lunedì al venerdì, dalle 17 alle 20.
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- Salvo
Ferlito - maggio 2025
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