G.A.M. - Galleria Arte Moderna
Via Magenta, 31 - Torino
 
 
 
Anima, informazione, malinconia, linguaggio
 
La Gam di Torino ha inaugurato un nuovo corso espositivo per le proprie opere. L’esperimento, già partito nel 2009, vede una proposizione non legata alla cronologia della produzione artistica ma esclusivamente di tipo tematico. In questo caso, i quattro temi sono stati scelti da tre professori ordinari di varie materie e università e da uno psichiatra. È positivo - si può pensare di primo acchito -, ci eviteremo la solita montagna di “spiegoni” a cui ci costringono immancabilmente gli storici dell’arte. Invece, parole e spiegoni li troviamo anche sui muri. Ce l’hanno proprio per vizio, questa mania di voler spiegare l’arte a tutti i costi. Insomma, ci spiegano che secondo l’imput dei quattro cattedratici e la scelta delle opere, che naturalmente, alla fine è passata nelle mani dei critici d’arte, nella sezione “Anima” ci vanno Gastaldi, Pagliai, Spinazzi (chi erano costoro? Il critico che li citava su “La Repubblica” ne parlava come se fossero amici suoi. Gran conoscitore…), Nunzio, Nitsch, Nagasawa e Salvatori. E ancora Hayez, Tapies e Klein, Scanavino e Paladino. Fortunati loro che hanno a che fare con l’anima.
 
Tutti gli altri no. Per esempio l’arte povera sta nella sezione “Informazione”. Anselmo, Merz, Penone, Pistoletto, Zorio, accompagnati da Nespolo e Otto Dix. Alla rinfusa nella “Malinconia” Calzolai, Paolini, Modigliani, Carrà, mettendoci insieme anche Elisa Sighicelli e Francesca Woodman. Volete sapere quelli della sezione “Linguaggio”? Ve li risparmio. Alla fine l’arte, quella che sta nelle opere, arriva poco o non arriva per niente, inebetita al pari del visitatore da un “frastuono” di parole, create per spiegare. Ma spiegare cosa? Io rimango dell’idea che nell’arte ci sia ben poco da spiegare. Che la critica d’arte sia un artificio per dare da mangiare a qualcuno che non si è mai sporcato le mani con la vera creatività. E che i musei siano la tomba dell’arte. Girando per le varie sale ho visto la solita processione di signorotte e signorotti per bene, zaffate di profumo per l’aria, saluti di rito tra i soliti noti – Vedi? Io lo conosco l’assessore, il direttore etc. etc. etc. - I nasi per aria, i commenti a bassa voce. In quelle sale dalle luci soffuse, col borbottio di sottofondo, il pensiero spontaneo è stato: Dio che tristezza l’arte! È questa? È cosi? Io mi dissocio dal rito collettivo dell’adorazione non pensante, pilotata, spiegata dai critici. Io lo so che dietro ognuna o tante di quelle opere c’è dolore, c’è passione e furia creativa. Lo conosco il travaglio di dipingere. Invece quello che dimora nei musei ha sempre un odore di stantio. La passione primigenia è come ammantata da un velo soffocante. L’arte che rimane nei musei perde la funzione sociale che aveva avuto nel momento in cui è stata creata. Passando davanti alle opere di Burri lo sentivo urlare il suo tormento esistenziale, le sue urla arrivare direttamente dalla prigionia americana, ma nel “frastuono” dell’arte parlata, chi le ha sentite con me? Mi son detto: che razza di posto ti hanno dato, amico mio? Le tue combustioni qua dentro non prenderanno mai più fuoco…
            E lo spiegone “intellettuale” continua sui giornali, il giorno successivo all’inaugurazione. Pagine e pagine di carta stampata usate da altri critici, giornalisti e redattori per dirci che qualcosa di bellissimo ed eccitante è successo alla GAM di Torino per il suo nuovo allestimento: sono state trovate nuove definizioni per l’arte, per gli artisti e per le loro opere. Come in un bel gioco di società, opere e artisti vanno mescolati e ridistribuiti in nuove sezioni e nuove categorie e qualcuno troverà sicuramente le parole per spiegare il motivo della loro presenza nella sezione “anima” piuttosto che in quella della “malinconia”.
 
p.s. Odio i musei, s’è capito. Ma non mi venite a dire che si tratta d’invidia: io non dipingo più, ora scrivo romanzi!
 
Bruno Panebarco
Mostra visitata il 3 Marzo 2011  
 

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