per iniziativa di:
 
Galleria d’Arte Studio 71 di Palermo
Portale Internet PITTORICA
 
e  col  Patrocinio  del
COMUNE DI PALERMO

 

 personale di  SERGIO  FIGUCCIA

"I  SOLIDI  IGNOTI"

 

 

 catalogo a cura del Centro d'arte e di informazione Studio 71 Palermo
contributi in catalogo di:
Salvo  Ferlito
Aldo  Gerbino
Vinny  Scorsone
dal 24 gennaio al 14 febbraio 2004
Di Sergio Figuccia ho avuto modo di apprezzare le non comuni doti di bravo vignettista. “Serfi” – così amava firmarsi, negli anni ’80, quando pubblicava i suoi caustici disegni sul Giornale di Sicilia – si occupava prevalentemente di politica, lanciando i propri strali sui governanti di allora nel tentativo di esporne l’operato alla berlina.
Potrebbe sembrare fuorviante parlare delle divagazioni vignettistiche d’un pittore, soprattutto se ciò avviene in sede di presentazione d’una sua mostra di dipinti; ma in realtà, questi due aspetti dell’attività artistica di Sergio sono tutt’altro che scissi o contrapposti, costituendo le due facce complementari d’una stessa erma bifronte. Infatti, quel certo gusto per l’immagine “eloquente” – croce e delizia di quasi tutte le sue tele – appare indubbiamente come un portato della sua pregressa esperienza vignettistica. Esperienza alla quale vanno ascritti anche l’amore per le didascalie (che “raccontano” i soggetti) e – da un punto di vista più strettamente tecnico – il segno grafico forte ed incisivo, appena temperato dalla stesura a spatola.
Del resto, lo stesso titolo scelto per questa mostra, ovvero i “I Solidi Ignoti”, è ampiamente rivelatore d’una incoercibile pulsione al calembour e alla battuta dissacrante, in cui si esprime l’animus del vignettista ancor prima di quello del pittore. Per tanto, benché Sergio ci introduca al suo fantascientifico immaginario – popolato di visioni da “day after” – con uno scritto dai toni quasi seriosi, e per quanto non si sottragga all’ostinato desiderio di chiosare le sue immagini con slanci “poetico-retorico-oracolari”, ciò non di meno – forse per la vivacità cromatica, che certo non induce a pensieri catastrofistici, e fors’anche per una qualche gradevolezza fumettistica – una sana quanto ossimorica ironia non manca d’aleggiare sulle sue opere, permeandole ampiamente ben oltre gli intenti da egli dichiarati.
Ecco, allora, i Moai dell’isola di Pasqua andare alla deriva – su una specie di vascello-bunker –, evocando più una immagine turistica che l’idea di antichi simulacri dispersi in un pelago prossimo-venturo, o, ancora, le aggressive sagome degli Ecomostri ergersi priapicamente, ottemperando al rispetto d’un onirismo architettonico decisamente più “viagrato” che allucinatamente psichedelico.
Gli ideali referenti cui il nostro Sergio pare richiamarsi, nel costruire (o nell’immaginare) questo suo “solidamente ignoto” mondo del futuro, sono senza dubbio Escher (si guardi il vertiginoso Precipitevolissimevolmente) e – più recentemente – Breccia (che non a caso ha esposto a Palermo poco più di un anno fa). Un riferimento che però non prevede la riproposizione di atmosfere da delirio o da non sense (tipiche soprattutto dell’impareggiabile olandese), ma piuttosto la loro trasfigurazione in termini più caldi e rassicuranti, grazie a una brillante tavolozza e ad una impostazione compositiva assai scarna e di grande sobrietà (connotazione, quest’ultima, che in vero indulge ancora a un simbolismo surreale, sebbene depurato di quelle venature più inquietanti proprie dei suddetti autori).
In definitiva, escludendo la fascinosa cupezza di Bunker, il “domani” prefigurato da Figuccia, in questa sua ultima produzione pittorica, pare assai più rassicurante di quanto egli – a parole – non voglia farci credere. Vi splende il sole, il mare è azzurro, non mancano palmizi e  barche a vela, inoltre – pregio da non trascurare – non vi si avverte quasi presenza umana; un mondo davvero “ideale”, ove prevale l’involontario aspetto utopistico su quello antiutopistico, e il cui avvento più che una paventabile iattura pare francamente un’auspicabile ventura.
Salvo Ferlito
 
 
Tra i misteri di Gea  
 
E’ una visione molto ironica, (ma anche drammatica) quella che Sergio Figuccia ha della vita, lo si capisce da alcuni suoi soggetti, dai titoli dati ai suoi quadri.
Le opere esposte in questa mostra sono dedicate a grandi meraviglie create dall’uomo.
Colossi del passato e del presente, rivisti con l’occhio dell’artista, modificano le loro forme, si allungano, mutano le loro caratteristiche, il loro contesto ambientale, i loro colori. Questi ultimi divengono accecanti, strutture cromatiche sulle quali si basa l’intera composizione grafica in una tessitura che rimanda alle strips (Figuccia è anche vignettista).
I solidi di questo artista sono anime mute ma non perché avvolte da un alone di mistero (che egli sfrutta giocandoci intorno) bensì perché  pregne di un vero e proprio silenzio tombale.
Testimoni di un tempo, di un’era, i suoi totem, le sue costruzioni si ergono incapaci di trasmettere messaggi alle generazioni future. Sembrano quasi giocattoli utilizzati da un ciclopico bambino: mattoncini Lego, puzzle, girandole senza vita, oggetti dell’ottusità umana, ma anche scintille luminose tramandateci da antichi popoli che noi non riusciamo a comprendere.
Con questo ponte metaforico i suoi “solidi ignoti” avvicinano Stonehenge alle piattaforme petrolifere, i totem ai grattacieli di New York, i dolmen ai bunker, gli obelischi alle centrali eoliche, in un gioco che vede coinvolti anche i Moai di Rapa Nui i quali sembrano gitanti a bordo di un motoscafo o le piramidi Maya fagocitate dalla vegetazione.
Una visione che procede per incastri e assonanze e dissonanze cromatiche. Figuccia gioca con le grandi opere della storia dell’umanità, vezzeggiandole, conscio del grande potere suggestivo e misterioso che è insito in esse, mentre tratta come creature già morte  le opere architettoniche del presente proiettandole in un lontano futuro post-nucleare.
Sulla tela, così, convivono due visioni degli oggetti diametralmente opposte: una innamorata, l’altra impaurita ma caratterizzate entrambe da un senso precario della vita, fatta - quest’ultima - di incertezze, di ambiguità e di una sottile nostalgia che lega i popoli di tutto il mondo. Un mondo sul quale da millenni brillano sempre lo stesso sole e la stessa luna, astri invariati e quasi numi tutelari di un’umanità fragile sempre in cerca di certezze incrollabili.
                                                                           Vinny Scorsone

 

   

 

 

alcune foto dell'inaugurazione della mostra