ANNA  KENNEL
"Volti  tra..volti, segni di ...segni"

 

 
Ci sono due elementi costanti nella pittura di  Anna Kennnel : la delicatezza del segno e la meticolosità del tratto. Sono qualità che si manifestano sia che dipinga conchiglie madreperlacee che  soffici tappeti di foglie, sia che la sua matita si soffermi sul lungo calice bianco di una calla o su una libellula posata su una pietra.
Arrivata giovanissima alla padronanza  del mezzo espressivo , Anna Kennel  affronta sempre , con rinnovate energie, nuove sperimentazioni, come è evidente nella mostra alla galleria Elle Arte ( Via Ricasoli , 45 ) ,aperta fino al 18 marzo ,che ha un titolo solo apparentemente enigmatico: “ Volti tra… volti , segni di … segni “.
 
Sono esposti  trenta disegni ad acquarello e grafite, realizzati negli ultimi tre anni , dedicati prevalentemente alla sua scelta pittorica più recente ,quella dei volti  di personaggi noti e di personaggi inventati . Infatti  , insieme a intellettuali conosciuti  rappresentati  soltanto con una porzione del viso dal quale spicca –rivelatore – lo sguardo , vi sono ritratti di fantasia , talvolta caricaturali . E basta leggere i titoli per rendersene conto:“Lo sguardo “ , “ La noia “, “ La perplessità “ .

 

Nella mostra  non mancano i rami nudi di alberi e le foglie di palme languidamente dispiegate sullo sfondo del cielo . E anche questi disegni caratterizzano la produzione di una artista  che una volta ha dichiarato : “ La natura è stata la linfa che mi ha consentito di  esprimermi “. Ma questa volta la pittrice palermitana ha riservato una sorpresa ai suoi estimatori. Ha presentato trenta sassi di mare di varia forma sui quali ha disegnato  una  serie di espressioni caricaturali e non , con gradevoli tinte cromatiche eseguite con matite e chine colorate . E’ certamente un divertissement  dell’ artista , ma , come avverte la gallerista Laura Romano , “la ricerca  della novità si sposa con l’impegno del momento           creativo “ . Sì  perché questi sassi levigati dal mare e dalla sabbia con un lavorìo di millenni  esprimono una originale forma d’arte . E c’è  nell’insieme dell’offerta pittorica di Anna Kennel  la conferma  di un mestiere alla cui base ci sono  l’ impegno quotidiano  e le esperienze acquisite  alla Scuola internazionale di Venezia e all ‘ Accademia di Belle Arti di Urbino . Di qui i consensi che l’artista ha avuto anche recentemente esponendo in Italia e all’estero.
 
                                                                     GIUSEPPE QUATRIGLIO

GRAZIELLA   PAOLINI   PARLAGRECO
 
L’acuto scandaglio dell’universo muliebre pare essere il tratto distintivo della pittura di Graziella Paolini Parlagreco.
Volti di fanciulle belle e misteriose e sensualissimi corpi di donne popolano infatti le opere dell’artista catanese, offrendo le molteplici sfaccettature d’un immaginario esclusivamente dedito all’attenta analisi della dimensione femminile.
Forte d’una spiccata dote d’empatia, la Paolini Parlagreco declina le tante sfumature di cui è capace la psiche dell’altra “metà del cielo”, incarnandole in altrettante fisionomie e corporeità dal sembiante tanto aggraziato quanto impenetrabile.
Talora ritratte in un’armonica parcellizzazione somatica che ne esalta il fascino sensuale, talaltra in una sorta di “fermo immagine” incentrato sull’arcana suadenza dei visi belli e levigati (resi ulteriormente “irraggiungibili” da ampi cappelli che ne velano le delicate fattezze), le donne della Paolini Parlagreco costituiscono pertanto un credibile ed ampio “casellario” di tipi femminili, scandito con puntuale efficacia e congruità psico-somatica.
La liquida leggerezza dell’acquarello (qualitativamente steso sulla corposa carta Conti di Acireale), il sobrio linearismo delle matite colorate, la timbrica vivace dei pastelli o l’incisività segnica dell’acquaforte sono gli strumenti tecnici di questa articolata narrazione, il cui lessico “visuale” – dichiaratamente figurativo – si dispiega fluidamente, senza incorrere in incertezze, cadute o balbettii.
Un racconto per immagini, questo dell’artista catanese, in grado di affabulare l’osservatore, irretendolo in un intreccio inestricabile di sottili “affetti” e di armonica beltà.

 

 


PEDRO  CANO
 “DEL  JARDIN  Y  DEL  HUERTO”

 

Pedro Cano è quel che ogni artista dovrebbe al contempo essere: un vero intellettuale e un raffinato esteta.
Accostarsi alla natura con empatica capacità di ascolto ed osservazione, percepirne il respiro ampio e silenzioso, leggerne congruamente i segni imperscrutabili, tradurne ogni vibrazione in liriche scansioni visuali sono infatti le prerogative proprie di chi antepone a qualsivoglia urgenza espressiva (scarsamente cogitata) un’attenta e approfondita speculazione filosofica, in grado di guidare la gestualità fabbrile ben oltre gli angusti perimetri dell’immediatezza compulsiva.
La misurata leggerezza delle pennellate (implicita nella difficile tecnica adottata, ovvero l’acquarello) e la pausata resa atmosferica delle “inquadrature” testimoniano, in effetti, d’un approccio tutto mentale (ma mai aridamente intellettualistico e formalistico) ai soggetti da dipingere, al fine di distillarne – attraverso un ben riuscito processo di sottrazione d’ogni inutile ridondanza compositiva, luminosa e coloristica – l’intenso liquor affettivo che li intride nel profondo, sì da renderlo agli osservatori in una raffinata penetranza ottica che non indulge a facilonerie o a scorciatoie superficialmente emozionali. Questo spiega il peculiare ricomporsi della sintassi figurativa di Pedro Cano nei termini di una rappresentazione misteriosa e quasi onirica, sempre sospesa – ma con grande senso d’armonia – fra la mimesi più naturalistica e lo sconfinamento nelle dissolvenze tipicamente visionarie. Il continuo slittamento dal piano della oggettività ottico-fotografica verso quello (in vero preponderante) della visione puramente soggettiva, su cui il pittore iberico ha strutturato la qualitativa traduzione del proprio immaginario, conferma dunque il carattere di ricerca primariamente  speculativo-filosofica (e quindi tutta interiore) della sua pittura, la quale è per l’appunto il portato d’una intima meccanica di “raffinazione” del mero dato sensoriale in un assai più lirico “sublimato” di carattere affettivo. Del resto, basta guardare la significativa sequenza delle melegrane, con la sua articolata modulazione di scansioni compositive e cromatiche (quest’ultime improntate ad una virtuosistica polifonia di accenti coloristici procedenti dall’austero rigore della grisaille fino agli esiti più accesi del rosso dominante o ai sommessi e armoniosi contrappunti fra tinte contrastanti), per capire con chiarezza come quello di Pedro Cano sia innanzitutto un iter di progressiva decantazione intrapsichica del puro spunto ottico, grazie al quale pervenire – meditativamente – a quella “essenza” ineffabile che anima nel profondo il mondo intorno a noi.
Non è un caso, per tanto, che la resa visuale di codesta introiettata e rarefatta “sublimazione” sia operata attraverso avvolgenti trapassi chiaroscurali e sincroniche declinazioni timbrico-tonali delle cromie; non è un caso, in quanto siffatta tecnica (padroneggiata con perizia inusitata) consente quella stupefacente traduzione visionaria dell’arcano che impregna fino all’osso ogni cosa, al punto di coinvolgere completamente gli osservatori in una dimensione del tutto straniata ed inquietante, ove affiorano aspetti semantici abitualmente reconditi o ampiamente sottovalutati.
Ecco allora i classici limoni e fichi d’India insulari venire “emancipati” dalle abituali trascrizioni veristiche e naturalistiche, per essere quindi ricondotti in un ambito “altro”, in cui l’assoluta eleganza delle forme non si scinde giammai da un senso di indefinita “animazione”, che li riscatta poeticamente (e totalmente) dalla nuda e cruda condizione oggettuale. E parimenti, le molteplici declinazioni botaniche (con giardini punteggiati d’infiorescenze d’ogni sorta o con ensemble di piante interrate in vasi dai connotati metafisici) confermano la non comune dote di saper cogliere e restituire lo sfuggente esprit annidato nel cuore pulsante della natura, così come nella silente presenza di quegli oggetti (dall’apparenza assai banale) che connotano la nostra distratta quotidianità.
Un melos declamato con metrica sobria e contenuta, questo di Pedro Cano, e tuttavia in grado di introdurci (come pochi) a un diretto e intensissimo colloquio con quella dimensione parallela dell’esistere, del cui senso ineffabile perdiamo troppo spesso percezione (quand’anche la si abbia mai avuta), ottusi come siamo dalle rigide e anestesiche meccaniche della vita d’ogni giorno.
 
 
 
 
Pedro Cano, uno dei maestri dell’acquerello della scena internazionale, alla Galleria Elle Arte di Palermo da Venerdì  25 Novembre 2005 al 14 Gennaio 2006.
 
Per la quarta volta, nell’arco di oltre vent’anni, Cano ritorna a Palermo dopo la recente mostra tenutasi nel Gennaio del 2005  al Loggiato San Bartolomeo  con il ciclo di acquarelli ispirati al romanzo “Le città invisibili” di Italo Calvino.
 
La mostra “ Del jardin y del huerto”  raccoglie quarantaquattro acquarelli che ritraggono fiori, frutti e giardini del Sud.
Cano dipinge melagrane, rose, limoni, bouganvillee, fichidindia… ed ancora suggestivi angoli di orti e giardini, donando loro una nuova vita, una inedita consistenza.
La carta, spessa e morbida, perde la sua usuale freddezza materica per trasformarsi in calda superficie da cui emergono, quasi si trattasse di un affresco, forme e colori che narrano atmosfere mediterranee.
Nessun foglio, è mai uguale ad un altro, così come mai nessun melograno o frutto o fiore ha un suo gemello.
I soggetti, sebbene all’ apparenza comuni, assurgono a modelli dal fascino ineguagliabile.
Come ha giustamente affermato Antonio Natali, direttore del dipartimento dell’Arte Contemporanea della Galleria degli Uffizi, “Il frutto non è più l’oggetto appeso ad un ramo […] ma riverbero di sensazioni…Niente di più lontano da quello che siamo avvezzi a chiamar  “nature morte”. Che già di per sé non è buon titolo e che certo, al cospetto, della vitalità degli affetti promananti dalle carte di Pedro, suona del tutto impertinente”.
 
Cano trasmette alle sue opere le sensazioni e le atmosfere da lui vissute durante i numerosi viaggi che ha  compiuto negli anni e a cui si dedica con passione errabonda.
Artista ormai riconosciuto ed affermato nel panorama artistico internazionale, Cano, ha esposto in tutto il mondo, curando, tra l’altro, anche le scenografie di alcune opere teatrali.
Il regista Giulio Berruti gli ha dedicato un documentario: “Pedro Cano. La mia voce” vincitore della Rassegna Documentaria sull’arte del Festival di Palazzo Venez
Pedro Cano è nato nell’agosto del 1944 a Blanca, una piccola cittadina della provincia spagnola di Murcia. Ha studiato prima all’Accademia San Fernando di Madrid e successivamente all’Accademia delle Belle Arti Spagnola di Roma, dove è stato vincitore dell’importante “Prix de Rome”.
Ha vissuto in Spagna, America Latina e Stati Uniti, e risiede spesso ad Anguillara, una piccola cittadina a 30 chilometri da Roma di cui è stato nominato cittadino onorario.
E’ membro dell’Accademia Real di Belle Arti di Santa Maria Arrixaca ed è stato insignito dal re Juan Carlos dell’Encomienda de l’Orden de Isabella Cattolica.
Vive tra Roma, Anguillara e Blanca.
 
L’artista sarà presente alla mostra  venerdì 25 e sabato 26 novembre.
Ingresso libero
 
 
 
 
 
 
Orari 10-12.30/17-19.30 Chiuso il Lunedì Mattina e i Festivi.
Per informazioni tel./fax 091-6114182.



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